Officina Talenti – Questione di experience

Viene definita da molti “l’era del cliente”. Un nuovo periodo in cui chi è chiamato ad acquistare ha raggiunto un così alto grado di consapevolezza e di informazioni disponibili da poter imporre le regole del gioco. La battaglia, che prima si vinceva sulla capacità produttiva e la potenza distributiva, si sta spostando su un altro campo. Adesso la proprietà esclusiva dell’informazione è qualcosa di impossibile da preservare. Le aziende, per competere, devono ambire ad appropriarsi dell’unico tassello ancora in grado di dar loro un vantaggio competitivo: la fiducia del cliente. 

Alec Conti

I nuovi modelli di business nati con l’avvento del cloud computing, del peer to peer e della transizione all’economia della collaborazione, hanno aperto le porte a nuovi paradigmi. Spuntano sul mercato imprenditori venuti nel nome di una nuova esperienza per l’utente, più attenta alle sue esigenze. Ai suoi gusti e abitudini, da vivere dove e quando vuole. Persino alle sue paure. 

Il risultato lascia poco spazio all’interpretazione. 

Oggi a vincere sono proprio le aziende che considerano il processo di design del prodotto l’asset più decisivo per raggiungere il successo. Un aneddoto riportato da John Adda, nel suo speech al World Communication Forum 2016, racconta le sue avventure come UX Architect in Apple. Incaricato di disegnare il packaging esterno dell’iPhone si recò da Steve Jobs con due prototipi: uno elaborato con diverse indicazioni, il secondo più semplice e con meno ricerca di dettagli. Prevalse quest’ultimo. Il designer chiese al fondatore di Apple il motivo della scelta.

“Vendo iPhone, non scatole”, rispose freddamente. “Ora però” – disse l’uomo di Cupertino rivolgendosi all’intero team di designer – “fate in modo che aprirle sia un’esperienza unica”. Per aprire la scatola dell’iPhone ci vogliono 7 secondi. Johan dice che è il perfetto equilibrio tra la frustrazione del volerlo e il piacere di sapere che, a breve, sarà nelle tue mani. Nell’affollamento dell’offerta, il guru Philip Kotler ricorda che non è più abbastanza soddisfare il cliente: bisogna sorprenderlo. 

E per farlo bisogna cercare ogni giorno di ascoltare le sue esigenze, anticipare le sue abitudini, proporne di nuove e più virtuose. È necessario pensare come un designer. Applicare la creatività in un’attività di problem-solving ripetuta. Rubando da lui la capacità di trovare soluzioni semplici a problemi complessi. Un approccio che anche i numeri riconoscono incidere nel successo aziendale. Uno studio del 2016 condotto da NEA con il supporto di IDEO, Uber e InVision ha cercato di fare chiarezza sui benefici economici di una buona pratica di User Experience Design somministrando un questionario a più di 400 startup.

I ricercatori scoprirono che le startup che ricevettero almeno $20M di finanziamento in capitale di rischio avevano più di 20 designer nel team di sviluppo, mentre le startup unicorno, che superavano il valore di $1B, riconoscevano al design un contributo maggiore al loro successo del 44% rispetto alle realtà meno fortunate.

Utilizzeremmo mai un’app che al posto di semplificarci azioni quotidiane ce le complichi ulteriormente? Ci pentiremmo di averla scaricata e la cancelleremo subito perché rea di non meritarsi nemmeno qualche mega della nostra SD. La responsabilità è dell’UX Designer, sia in questi casi sia quando invece troviamo un’applicazione di cui non potremmo più fare a meno. La responsabilità di ottenere da noi attenzione e riconoscimento. La moneta di scambio più importante per competere sul mercato.

 

UNIlancer (www.unilancer.it) è la piattaforma che permette alle aziende di collaborare con i migliori talenti dalle Università d’Italia

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