Advertising: largo ai giovani!
Quello del pubblicitario è ancora il lavoro dei sogni? Oggi cosa spinge un giovane a entrare nel (non più troppo) dorato mondo della comunicazione? Noi di Touchpoint abbiamo voluto farcelo raccontare direttamente da tre ragazzi che idealmente rappresentano quella che sarà la prossima generazione di professionisti del settore.
Bianca Savasta
Sono Bianca, ho 21 anni e sono una studentessa di Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa dell’Università IULM. Spinta dalla voglia di mettermi in gioco, ho lasciato la mia splendida terra di origine (la Sicilia) per avventurarmi nel mondo della comunicazione.
Ho dovuto studiare per capire quanto avesse ragione Marshall McLuhan, quando diceva che la pubblicità è la più grande forma d’arte del XX Secolo. Se sono qui oggi, non posso non ricordare il fascino che esercitava in me la pubblicità sin da piccola. Una fascinazione attizzata ancor più dai limiti imposti da mia madre, preoccupata dall’esposizione della mia giovane mente alla pubblicità.
Un giorno si convinse però a giocare con me a inventarne una: forse con l’obiettivo di svelarmi qualche meccanismo nascosto e così proteggermi dalla loro azione invasiva. Fece di più: mi aiutò a conoscere quel mondo magico e coglierne i suoi meccanismi profondi, e da lì mi ha portato a innamorarmene. E poi, si sa, “il gioco crea dipendenza”. Io non ho più smesso. Ora voglio crearli quei meccanismi, voglio continuare quel gioco. Amo l’idea di divertirmi con le parole, con le immagini, riuscire a incastonarle alla perfezione, creare un’armonia. La pubblicità per me è una grande sfida. È un mix di scienza e arte, di creatività e rigore, emozione e ragione che ha il potere di spargere messaggi simbolici per il mondo. A voi capita di sentire un timido forte bisogno di comunicare al mondo qualcosa? A me sì. E voglio fare la copywriter.
Beatrice Galluzzo
Mi chiamo Beatrice, sono cresciuta in Liguria, precisamente a Chiavari, e sono diplomata al liceo classico. Dopo 4 mesi in viaggio alla scoperta del Sud America (e di me stessa), mi sono trasferita a Milano e mi sono laureata in Relazioni Pubbliche e Comunicazione d’Impresa allo IULM, Libera Università di Lingue e Comunicazione. Successivamente ho svolto uno stage presso l’agenzia di comunicazione e organizzazione di eventi Adverteam, dove ho avuto la possibilità e la fortuna di approfondire i vari ruoli e di conoscere il funzionamento di un’agenzia a 360 gradi. A oggi la strada è ancora lunga, ma sono sempre più convinta del mondo a cui voglio appartenere.
Perché non avvocato? Perché non giornalista? E perché non bar tender?
Ci siamo passati tutti, chi prima chi dopo, attraverso quel tortuoso tunnel alla ricerca della propria identità. C’è chi aveva già qualcosa ad aspettarlo alla fine e c’è anche chi ha fatto una sosta all’interno e poi vi è rimasto intrappolato. Non sarei del tutto onesta se dicessi che attraversare il mio tunnel sia stata una passeggiata. Sapevo che amavo scrivere, mi capitava di ritrovarmi a sfogare i miei pensieri e a descrivere le situazioni in cui mi trovavo, come per poterle guardare da fuori e capirle meglio. A quel punto iniziavo a comprendere l’importanza della comunicazione, specialmente quando diventava difficoltosa. Ho deciso di viaggiare per un po’ e approfondire il rapporto con me stessa. Il tempo passava e io giravo il mondo alla ricerca del mio posto. Pensandoci, non ho ancora capito cosa la gente creda sia la comunicazione, però una cosa l’ho capita e non all’Università o tra i banchi di scuola: ho capito che l’importante non è “cosa”, ma “dove”. Mi sono accorta che la comunicazione era ovunque: nei cartelli stradali, nel logo di un brand, nel pack di una scatola di biscotti, nel suono di un treno che arriva, nei colori e anche in tutto ciò che sfugge alla percezione, ma si deposita ugualmente dentro di noi, diventando qualcosa di certo anche se nessuno ce lo ha mai insegnato. Quando ho capito questo mi sono resa conto che c’era qualcosa di particolarmente interessante nella pubblicità. Non dal banale punto di vista di chi cambia canale quando uno spot interrompe un programma in Tv, bensì nella sua dimensione più alta, quella che diventa importante, quella che diventa sociale, utile, quella che non comunica più solo prodotti o cose, ma che promuove esperienze di vita e valori. Dopotutto, chi non è mai rimasto colpito da un logo particolarmente accattivante o ha scelto una bottiglia di vino solo per l’impostazione grafica della sua etichetta?
Chi non ha mai preferito una confezione di patatine al supermercato in base al colore del pack o in base a come era disposta sullo scaffale, colpito irrefrenabilmente da quella posizionata all’altezza del suo sguardo? In fondo, volendo rifletterci un momento, chi ci ha davvero insegnato che è importante la prevenzione in termini di igiene orale? I nostri dentisti o Mentadent? Sono tante le consapevolezze che i grandi brand hanno costruito dentro di noi, occupando territori precisi nell’immaginario collettivo che sono diventati colonne portanti nelle nostre vite, spesso senza neanche accorgercene. Per esempio che “dove c’è pasta c’è anche casa” a me l’ha detto Barilla. E a voi? Ecco cosa amo della pubblicità ed ecco perché voglio lavorare in questo mondo: creare storie, dare identità a ciò che altrimenti sarebbe solo qualcosa da comprare o da vendere. La comunicazione pubblicitaria e in particolare la strategia e il posizionamento che vi sta dietro rappresenta per me un modo del tutto affascinante e creativo per dare alle persone la possibilità di riconoscersi in qualcosa, di identificarsi, di ritrovarsi, di unirsi. Tutti noi abbiamo bisogno di punti di riferimento e, che ce ne rendiamo conto o no, con la caduta delle grandi narrazioni della storia, è questo ciò che ricerchiamo ora. I grandi brand si sono antropomorfizzati, proprio come gli Dei dell’Olimpo, colpiti delle stesse pulsioni e debolezze umane, e si sono messi sul medesimo piano dei loro consumatori. A nessuno è mai venuto da pensare che “il signor Coca- Cola” dev’essere un tipo simpatico? Ma non finisce qui. Con le nuove tecnologie e il web tutto questo è diventato ancora più dirompente. Attraverso le innumerevoli tecniche di comunicazione non convenzionale siamo oggi davvero in grado di creare quel tipo di rapporto con i consumatori tale per cui non solo loro devono fare qualcosa per noi, ma anche noi regaliamo qualcosa a loro, restituendogli stati d’animo ed esperienze sensoriali uniche. Inoltre, possiamo dargli la possibilità di diventare co-produttori di idee e di partecipare attivamente e creativamente al processo di ideazione e produzione. Pensare che questo concetto non sia valido solo per i “Big Brands”, ma valga per tutti, è ancora più emozionante.
C’è sempre spazio per una storia nuova. Viviamo in un mondo caratterizzato da un mercato saturo, un mondo dai troppi prodotti, circondati da materialità e denaro, ma non saremo mai saturi di storie, perché credo che sia proprio la capacità narrativa a contraddistinguere l’essere umano dagli altri esseri viventi. Infine, la pubblicità è uno di quei campi in grado di farci rendere conto di che tipo di persone siamo, come pensiamo, come agiamo, se siamo onesti o se non lo siamo. Infatti, non puoi essere un buon pubblicitario, se ancora esiste questo modo di definirlo, se non sei una persona onesta. Per essere onesto, l’uomo deve essere libero e per essere libero deve necessariamente espandersi verso altre dimensioni. Infatti, citando Mary Wells Lawrence, Co-fondatrice ed ex Presidentessa della Wells Rich Greene: «Non puoi fare affidamento solo su te stesso. Ti devi moltiplicare. Devi leggere e documentarti su cose di cui non conosci nulla. Devi viaggiare e recarti in posti che non avresti mai pensato di visitare. Devi incontrare qualsiasi tipo di persona e solo alla fine arrivare a quello che sai».
Alessandro Beretta
Mi chiamo Alessandro, ho 21 anni e sono studente di Comunicazione, Media e Pubblicità all’Università IULM di Milano.
Al momento della scelta del tipo di laurea da conseguire ho preso in considerazione sia le mie passioni, legate al mondo della grafica e del filmmaking, sia la fascinazione per tutto ciò che rappresenta il mondo pubblicitario e comunicativo. Negli anni ho scoperto di essere in grado di raccontare storie o concetti attraverso immagini in modo molto più efficace rispetto all’utilizzo delle sole parole. Quello che più mi affascina dell’ambito pubblicitario è proprio la possibilità di poter utilizzare la mia creatività nello storytelling e dare un’identità visiva alle idee attraverso l’utilizzo di mezzi espressivi come i video, la grafica e la fotografia. Il settore in cui mi piacerebbe lavorare è proprio quello della produzione pubblicitaria (regia, direzione della fotografia e produzione). Credo sia uno degli ambiti più interessanti e creativi in grado di soddisfare la mia necessità espressiva.