Wavemaker chiude il 2019 con +5% di fatturato e accelera sulla consulenza
Il CEO Luca Vergani (nella foto): «AIl 50% delle revenues viene da servizi extra planning e buying come Content e Tech»
«Siamo in un’epoca focalizzata sul prezzo, auspico che si possa sempre più valorizzare il pensiero strategico». È questo il posizionamento su cui sta puntando l’agenzia media Wavemaker, secondo le dichiarazioni del CEO Luca Vergani, che ieri ha incontrato la stampa di settore a Milano.
È stato un anno difficile il 2019. «Nonostante il calo di amministrato, chiuderemo in positivo con fatturato a +5%. Dei 70 milioni persi con Vodafone, che valeva il 7% delle revenues, ne abbiamo recuperati 35 mettendo a segno new business con l’incarico diretto di Febal Casa, la piattaforma di crowdfunding Back to Work 24 e Imetec, per citarne alcuni, il cui impatto frutterà nel 2020 – ha spiegato il manager -. Quello che ci contraddistingue sul mercato e che ci ha consentito di reggere meglio l’onda d’urto delle perdite è di avere in portfolio una coda lunga di piccole e medie imprese. Con questo tipo di aziende si può ottenere una remunerazione più alta che a volte un grande cliente non assicura. Il 50% del totale fatturato è comunque realizzato con attività al di fuori del billing di planning e buying».
Secondo Vergani, il 2019 è andato a due velocità. «Da una parte la sofferenza degli investimenti adv che si stanno polarizzando sui mezzi tv e digital, con il taglio della spesa da parte delle aziende di telefonia, delle multinazionali o di Sky che inevitabilmente si è riflesso sul mercato. Cala l’efficacia del mezzo tv sul ROI delle vendite perché sono cambiati i consumatori e le modalità di fruizione. Nei 12 mesi 2019 l’età media dei telespettatori è invecchiata di 2 anni rispetto al 2018. Pensavo che la stampa arrivasse a un punto di equilibrio invece continua a scendere. Possibili soluzioni sono state attivate per esempio dalla concessionaria Manzoni: creare piattaforme di acquisto automatizzato degli spazi su tutti i loro mezzi e forzare le logiche di addressability e geolocalizzazione. La seconda velocità dell’anno è stata l’esplosione dei servizi di consulenza scollegati dal media classico», ha proseguito.
L’agenzia media parte di GroupM, che conta su 400 risorse umane in cinque sedi sul territorio italiano, si è attrezzata per poter affrontare le nuove sfide di mercato. «Nel reparto strategico ci sono 30 persone dedicate, nell’area Content sono impiegate 60 persone e all’interno copriamo discipline differenti, addirittura non riusciamo a stare dietro alla crescita del mercato – ha raccontato il CEO di Wavemaker -. L’area Tech è presidiata da 15 persone che si occupano di siti, minisiti, landing page, data visualization, dashboard, Seo, Crm, digital transformation. Queste unit si propongono al mercato indipendenti da Wavemaker e partecipano alle gare separatamente. Infine stiamo sviluppando un servizio di consulenza sull’e-commerce che attualmente conta su due risorse: ci chiamano aziende che non sono clienti del media per avere consulenza su se, dove e come implementare il canale. Nel media classico impera la legge dei diritti di negoziazione che invece non esistono in altri ambiti e spero che continuerà a esser così. Ampliando il perimetro dei servizi possiamo giocarcela con le grandi società di consulenza, cosa che non riescono a fare le concessionarie tv. Un ulteriore cambio di paradigma strutturale si avrà con il trasferimento al Village WPP, uno spazio dove sono previste 7 scrivanie ogni 10 persone e dove saranno implementati coworking e omnicanalità».
Un mercato, quindi, che sta cambiando pelle. «È anche colpa delle agenzie media che hanno generato insicurezza nella conduzione delle gare, spingendo le aziende a ricorrere agli auditor. Quando ci sono loro di mezzo, pianifichiamo in modo differente, perché non riconoscono e valutano la nostra qualità intrinseca, quindi dobbiamo pianificare azioni che il loro strumento di lettura legge. Lato nostro, siamo costretti a chiedere remunerazioni sotto le quali è disefficiente andare e quindi decliniamo alcuni inviti ai pitch. Se tutti i grandi clienti fanno una gara in media ogni tre anni significa che ogni anno il 30% del mercato è in gara: la mia agenzia deve impiegare il 30% delle risorse sulle gare e il restante 70% deve fare il 100% del lavoro, una pratica che penalizza la qualità. Un’opportunità sta prendendo piede in ambito digital perché su questo mezzo si può comprare in qualsiasi parte del mondo: su alcuni clienti italiani, come Lavazza, dal 2020 gestiremo l’acquisto globale in programmatic».
All’interno dell’agenzia sono necessarie figure che, pur non avendo competenza specifica, siano in grado di interloquire con le aziende. «Loro ci affidano un problema e si aspettano una risoluzione, quindi le nostre risorse devono avere la sensibilità di unire i vari pezzi di un puzzle per dare in risposta una fotografia integrata e non pezzetti di un percorso. Sempre di più i clienti ci richiedono l’internalizzazione nelle loro strutture di nostro personale, da Toyota a Banca Intesa Sanpaolo, da Pfizer a Mondadori», ha detto Vergani. Una tendenza che viaggia parallelamente a quella dell’inhousing. «Per alcune aziende ha senso, per altre è solo una scelta di moda che non considera le criticità, come la sostituzione dei talenti quando lasciano l’azienda o l’eccesso di costi. Ho coniato il termine “outsourcing dell’inhousing” e quindi offriamo alle aziende consulenza sui pro e i contro nell’adottarlo». Anima di Wavemaker è sempre stata la presenza sul territorio che quest’anno si è concretizzata con una collaborazione con il Sole 24 Ore per «una serie di appuntamenti iniziati a Milano che si concluderanno domani a Roma. Al di là dei due poli strategici ci interessava incontrare realtà locali per entrare in contatto con aziende fuori dal radar della comunicazione». Riferendosi all’incontro di oggi organizzato da UNA, UPA e FCP sulle gare media, Vergani ha concluso: «Mi auguro che si possano generare regole di comportamento sensate e uguali per tutti, che il mercato riuscirà a rispettare».