La Rivoluzione Analogica – Il sé virtuale e l’asimmetria esperienziale
Ho vissuto a Roma per tanti anni e spesso, almeno una volta al mese mi capita di andarci per lavoro. Questo mi consente di assistere con un certo distacco alle fasi di decadimento della città. Malgrado tutto è sempre esteticamente impagabile in alcuni dei suoi momenti e dei suoi scorci (ho detto scorci e non sorci).
Ritrovarsi a non avere niente da fare a Campo De Fiori con un bicchiere di vino in mano con l’amico regista Giancarlo R. è uno di quei frangenti in cui pensi che hai a portata di mano “la grande bellezza”… o “la bella grandezza”…fa lo stesso.
“Guarda un po’” mi dice il mio amico indicandomi un turista, probabilmente americano, che ritoccava una foto sul suo iPhone eliminando un cumulo d’immondizia alle spalle di un suo selfie.
Gli hashtag erano del genere #wonderfultown #romejourney #eviacantando. In realtà la faccia di quel signore tradiva una certa differenza tra quello che scriveva e quello che realmente provava. Probabilmente avrebbe pagato oro per essere nello studio di casa sua o nel suo living, magari su una poltrona mentre guarda una delle tante partite NFL, NBA ecc. Anzi, sulla sua faccia c’era scritto
proprio questo: “riportatemi subito a casa”.
Allora, solo allora ho pensato che avrei voluto fare qualcosa per alleviare quel disagio. Io odio il disagio delle persone che mi stanno vicine, mettono a disagio anche me, e quando dico odio riferendomi al disagio, intendo proprio Odio con la o maiuscola, misurando la parola in tutta la sua fastidiosa essenza. C’era un aspetto positivo in quel disagio, la “dolce vita social”.
Stavo assistendo a un limpido caso di asimmetria esperienziale.
Quell’uomo stava odiando tutto della situazione, ma il suo “sé virtuale” su instagram aveva bisogno di comunicare altro “#wonderfultown #romejourney #echipiùnehapiùnemetta.
È una malattia contemporanea tutta basata sul bisogno di dare testimonianza e comunicazione agli altri.
Chissà se è un male nato con i social questa moltiplicazione del sé. Anzi tolgo il chissà. Sicuramente sì, è un male moderno dovuto alla pervasività delle nuove tecnologie. Non che sia importante la realtà, ma l’effetto cartolina e il proprio essere immortalato in questa cartolina dal taglio scadente che sta lì a testimoniare che “io c’ero”.
L’umanità andrebbe avanti anche senza saperlo… ma tant’è. Comunque, “riscritta sullo schermo di un computer l’identità perde la propria fissità e fisicità per esprimere, libera dai vincoli del corpo, i suoi molteplici Sé” (questa frase è frutto di un furto bello e buono, ma qui ci cade a pennello).
È il “sogno di realtà” nel quale Alice si perde tra le finestre del suo inconscio, lo spazio in cui “i vari Don Chisciotte della post-modernità possono comunicare (…) le immagini della loro stessa follia”. Adesso che ci penso…anche questo pezzo della mia identità virtuale di “columnist” lo è, ma se tu lo stai leggendo stai già facendomi un grande massaggio virtuale all’ego, arricchendo il mio EgoSistema.
Grazie, torno subito nel mio me reale, abbandono il me virtuale e l’asimmetria esperienziale perché sta per partire l’aereo e ora devo proprio imbarcarmi accodandomi tra una fila di persone che fanno selfie e pubblicano post.