La rivoluzione analogica – Chi possiede cosa o viceversa?
Non so se hai notato alcune trasformazioni, anzi, delle vere e proprie metamorfosi che avvengono in alcuni individui quando entrano in possesso di certi oggetti. Diventano posseduti dallo stesso oggetto che hanno acquistato. Il direttore della mia banca ad esempio, un giorno ha comprato una Harley Davidson. Prima dell’acquisto della moto sembrava il depositario di un look figlio di una tradizione formale che era già morta prima che lui nascesse. Poi l’oggetto si è impossessato di lui. Si è trasformato da “mod” a “rocker”. Prima il giubbotto di pelle, poi le Red Wing ai piedi, poi il caschetto nazi… il tatuaggio…la bandana e via discorrendo. Un po’ quello che succede ai velisti che iniziano a vestire Helly Hansen e Sperry Top-sider anche quando sono in città che non sono neppure bagnate dal mare.
Questo mi ha fatto tornare in mente un passaggio de “Il Capitale” di Karl Marx: “la personificazione delle merci ci porterà alla mercificazione delle persone”. Marx aveva previsto il capitalismo predatorio di oggi. Allora mi dirai: “Ma cosa c’entra tutto questo con la comunicazione”. C’entra, eccome se c’entra. Alcuni brand che hanno ben costruito e ben governato la loro narrazione (mi rifiuto di scrivere storytelling) cannibalizzano l’individuo. Tranquilli, per la qualità attuale della comunicazione di marca ne verremo fuori. Però… però… però, c’è sempre un però, anzi tre. A prescindere dal fatto che con l’affollamento dei brand in comunicazione sarà difficile costruire nuove marche così totalizzanti, abbiamo una serie di oggetti che si sono impossessati di noi già solo per la loro funzionalità tecnologica e digitale. Ad esempio abbiamo demandato la nostra memoria a quella del nostro smartphone – lo avevamo già fatto con l’invenzione della scrittura – ma adesso la cosa ha assunto dimensioni inquietanti. Io, ad esempio, senza la memoria del mio telefono non ricordo neanche il numero di mio figlio. In compenso i nostri “telefoni intelligenti” sono diventati la nostra scatola nera. Si sono impossessati di noi. Consiglio la lettura interessante di un libro di Cal Newport che si intitola “Minimalismo digitale”, cioè l’arte di saper riconoscere lo stretto necessario delle tecnologie che ci servono. Vuoi perché ogni applicazione tiene memoria e traccia di noi, vuoi perché sei tu che con i tuoi utilizzi frequenti diventi traccia di un algoritmo che ti possiede ed è in offerta al miglior acquirente, all’azienda che è disposta a pagare di più per le informazioni su di te e per il tuo profilo.
Questo ha generato la pubblicità perfetta, quella che ti propone il prodotto che cerchi proprio mentre lo cerchi. Sei motociclista e ti bombardo di caschi e guanti. La controindicazione? Mancano le idee. Si fa una pubblicità piatta per il web. Nessuna idea. Solo il prodotto e il prezzo. Come disse un pubblicitario saggio, tanto tempo fa, “un computer vi dirà che scarpe e quante scarpe comprerà una donna, ma saranno le idee e le parole che la faranno emozionare e piangere”.