La rivoluzione analogica – Le pagliuzze e la trave
Marco Carnevale, uno dei migliori direttori creativi della scena dell’advertising italiano, già direttore creativo della McCann Erickson di Roma, in un suo post di Facebook di qualche giorno fa scrive: «Marc Pritchard, worldwide CEO di Procter&Gamble fra il giugno del 2017 e il marzo del 2018 ha tagliato oltre 200 milioni di investimento in digital ads, dimostratisi “largamente inefficaci”. La decisione è stata determinata dal sospetto – in breve trasformatosi in certezza – che i dati sulla performance degli ads forniti da Google fossero manipolati: “Once we got transparency, it illuminated what reality was”.
Risultato: il reach delle campagne P&G è aumentato del 10%. Un’ennesima dimostrazione del carattere davvero rivoluzionario della digital advertising: in passato si erano visti solo canali e modalità capaci di minore o maggiore redditività a fronte di un investimento, ma mai prima d’ora si era avuta notizia di una disciplina capace di moltiplicare la propria efficacia a fronte di un disinvestimento. A questo sconvolgente fenomeno, qui da noi nessuno ha prestato attenzione: e questa è la prova che deve trattarsi di una faccenda veramente importante. Il fatto stesso che il mondo sia diventato digitale è incontrovertibile: e qui aggiungere o meno un “purtroppo” sarebbe qualcosa di clamorosamente irrilevante. Ma attenzione al fatto che tutti gli equivoci, i maldestri impieghi del mezzo, l’incompetenza delle aziende e spesso anche dei creativi non sono che minuscole pagliuzze intorno alla trave. Un giorno gli storici cercheranno di spiegare l’incredibile sbornia collettiva che ha portato a credere che la comunicazione, un’attività umana per eccellenza, potesse essere automatizzata e trasformata in algoritmi (una logica esattamente opposta a quella umana) sulla base di scemenze tipo “tutti stanno su internet”. Negli anni Settanta tutti stavano al telefono fisso ma nessuno ha mai pensato di metterci dentro la pubblicità. Perché? Perché mettere un film su uno smartphone è come riprodurre la Gioconda su un bottoncino per le mutande. E l’idea di girare dei film con le inquadrature “verticali” (esattamente orientate come l’asse su cui sono allineati gli occhi, no?) solo perché una banda di pirati ha quello spazio da vendere è un pensiero che fa venire voglia di riaprire i manicomi e soprattutto di ripristinare l’uso delle camicie di forza e dell’elettroshock. Il problema non sono le storture. Il problema – anzi il dramma – è che stanno diventando tutti scemi. Lo so che non sarai d’accordo. Ma ogni tanto continua a buttare un occhio su questa Gallery e vedrai cose che voi (noi) umani eccetera eccetera. Salute».
Qui finisce il post di Marco. Ho ripreso pedissequamente quanto ha scritto, non solo perché riflette esattamente quello che penso da tempo, non solo perché è un pubblicitario che ha un’esperienza migliore e più grande della mia, non solo perché è indiscutibilmente più bravo di me, ma anche perché la sbornia della pianificazione web ha fatto credere che il linguaggio creativo sia secondario rispetto all’efficacia del media.
L’episodio di P&G, una multinazionale che con i numeri e le ricerche di mercato non ha mai giocato, ha provato che riducendo un investimento si riesca ad aumentare il reach è sintomatico. Non possiamo prescindere dalle idee per metterci a ruota di qualche smanettone della pianificazione digital. Puoi essere digital quanto vuoi, ma se non costruisci posizionamento, se non generi il linguaggio del tuo prodotto e soprattutto, se non crei empatia con il tuo target, puoi acquistare tutti gli spazi digital che vuoi, ma non riuscirai mai a rimpiazzare una buona coppia creativa con un algoritmo.
Si tratta di buona governance del brand, si tratta di buon linguaggio modulato sul target basandosi sul prodotto e nessuna web agency potrà mai prescindere dalla creatività per fare spazio agli algoritmi generati dai motori di ricerca.