Touchpoint Days: fra reale e virtuale verso un engagement senza confini
Chiusa ieri la tre giorni di Oltre La Media Group
Si è conclusa ieri la seconda edizione dei Touchpoint Days\\Engagement sul tema “Punti di contatto: reale o virtuale?”. Nel corso della tre giorni abbiamo fatto ruotare intorno a questa dicotomia gli interventi di professionisti delle agenzie e delle aziende, coinvolgendo nel dibattito anche personalità del mondo della cultura e dello spettacolo.
Alla conduzione di questo terzo appuntamento, trasmesso dagli studi milanesi di Fabbrica di Lampadine, Andrea Crocioni, Direttore di Touchpoint, e Giampaolo Rossi, editore di Oltre La Media Group.
L’obiettivo di questo appuntamento è stato quello di analizzare come sta evolvendo l’engagement alla luce di uno scenario che, anche a seguito della potente accelerazione avvenuta durante la pandemia di Covid-19, sta rendendo la linea di confine tra fisico e virtuale sempre più sottile.
Nostri compagni di viaggio in questa terzo pomeriggio di approfondimento sono stati: Matteo Maggiore, Senior Creative di Jung von Matt Germany, Luca Lanza, Strategic Design Director di Kettydo+, Alessio Garbin, Docente di Web Communication e Digital Marketing Specialist di Mulino Bianco e Pan di Stelle (Barilla Group), Matteo Pogliani, Founder ONIM e Partner e Digital Strategist di Open-Box, Francesco Mattucci, Content Creator, e Piero Chiambretti, autore e conduttore televisivo.
La giornata si è conclusa, a partire dalle ore 18.30, con la cerimonia di premiazione dei Touchpoint Awards\\Engagement, riconoscimento che premia la capacità di ingaggio e il più efficace utilizzo dei diversi touchpoint con un focus su tutte le attività volte a guidare la fedeltà, la crescita e la partecipazione del target di riferimento.
Partner della manifestazione sono ONIM-Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, Fabbrica di Lampadine e Ital Communications (Ufficio stampa e Media relations).
Il prossimo appuntamento è fissato per il mese di novembre con i Touchpoint Days\\Strategy. Il titolo della tre giorni sarà: “Punti di vista: azione o reazione?”.
Matteo Maggiore, Senior Creative di Jung von Matt Germany
REALE
Per imparare a fare engagement in un contesto culturale diverso dal proprio si deve sicuramente partire dallo studio. Un errore che fanno molti expat è quello di arrivare in un Paese o in un contesto sociale particolare con la presunzione di imporre lo stile di comunicazione europeo. Invece, è essenziale capire come funzionano determinati meccanismi, rispettare le culture locali o il mix di culture che si vogliono approcciare. Per quanto mi riguarda mi riferisco in particolare al Middle East. Ad esempio, Dubai è una città che ospita tantissimi expat, non solo europei, ma anche indiani, pakistani, una grossissima componente di cultura asiatica. Nel momento in cui in questo contesto si fanno campagne per grandi brand bisogna partire da un’analisi molto approfondita del target, ma anche uscire dall’agenzia, andare per strada, nei centri commerciali, parlare con le persone per conoscerne la mentalità. Poi c’è il tema religioso: ogni volta che arrivava un brief, c’era una lista di quello che non si poteva fare. Questo inizialmente può sembrare molto limitante. Però la sfida sta proprio nel riuscire a muoversi in questo territorio fatto di paletti, usare la creatività per uscirne.
Luca Lanza, Strategic Design Director di Kettydo+
PAREGGIO
L’approccio principale per noi è sintetizzato in due parole: design thinking. Noi siamo molto convinti che utilizzare le metodologie del design per avvicinarsi sempre di più alle necessità e alla sfera emotiva dell’utente, e su questo costruire qualche cosa, sia il metodo migliore per coinvolgerlo. Questo sia che si parli di strategia sia che si parli di esperienza, user interface e contenuto, ma molto banalmente si parla di ingaggio, perché il contenuto in questo caso diventa un enabler di ingaggio.
Alessio Garbin, Docente di Web Communication e Digital Marketing Specialist di Mulino Bianco e Pan di Stelle (Barilla Group)
PAREGGIO
Credo che il fisico e il digitale siano come una treccia: si aiutano l’uno con l’altro e rappresentano due facce della stessa medaglia, che è la nostra vita. Non viviamo di sola fisicità, oggi, come non viviamo di sola digitalizzazione o di sola virtualità. Sta a noi bilanciare queste due dimensioni, per cui anche all’interno delle strategie di digital marketing quello che facciamo noi è calibrare sapientemente i touchpoint. Se uno ha un e-commerce, l’aggancio fisico è la consegna del prodotto, chi come noi ha dei canali digitali e un prodotto che si trova in uno store fisico, l’esperienza è ancora più complessa ed è per questo che è importante governarla.
Matteo Pogliani, Founder ONIM, Partner e Digital Strategist di Open-Box
REALE
Il tema dell’influencer marketing è uno di quelli su cui la pandemia ha avuto più impatto. Quasi tutti i progetti che ora mi arrivano in agenzia lato brief tendenzialmente non parlano più di influencer, ma di creator. Può sembrare un sinonimo, ma non lo è affatto, ed è la dimostrazione di quanto le aziende, e la pandemia ha velocizzato questa comprensione, abbiano capito che influenza non significa notorietà. Sono tornate a fare valutazioni più qualitative che si slegano semplicemente dal numero di follower o dalla grandezza della fanbase, per andare viceversa a fare analisi più approfondite cercando di trovare figure che hanno un reale impatto concreto sui follower. Il contenuto è la forma di influenza più forte che esista.
Francesco Mattucci, Content Creator
VIRTUALE
La volontà per me è non snaturare, né banalizzare mai nessun prodotto, ma di offrire un punto di vista differente. Sui social a funzionare non è tanto l’estetica dell’immagine, ma la sorpresa. Se qualcosa ti sorprende ci dedichi quel mezzo secondo in più e quando questo succede magari guardi anche il messaggio, leggi la didascalia. È importante anche essere riconoscibili e lo step successivo, se sei molto bravo, è quello di diventare memorabile, cioè quando esci dal mondo dei social e altri media iniziano a parlare di te. Questi sono gli obiettivi che ogni contenuto dovrebbe porsi per riuscire a emergere.
Piero Chiambretti, Autore e conduttore televisivo
PAREGGIO
Rompere lo schema è così attrattivo nei confronti delle persone perché dentro di noi c’è uno spirito rivoluzionario. Anche il cosiddetto “travet”, magari un po’ in profondità, ha voglia di rompere. La routine è una malattia che uccide qualunque cosa: dai rapporti d’amicizia a quelli d’amore a quelli professionali. Il ripetere sistematicamente le stesse cose, se da una parte ti può rassicurare dall’altra però deprime perché si sa già come va a finire. C’è una definizione di Enzo Jannacci che io ho messo nel mio libro che sto scrivendo per Mondadori e che uscirà a Natale. Lavoravamo insieme a Il laureato, un programma che portava la Tv nelle università Italia. In quell’occasione mi disse: “Vedere i tuoi programmi è come vedere Italia-Germania 4 a 3, non sai mai come va a finire”. Questo è il senso per cui le community spesso si aggregano laddove c’è qualcosa da scoprire, qualcosa di cui sorprendersi, qualcosa di cui parlare.