Addio a Silvio Berlusconi, il grande comunicatore che ha segnato un’epoca
I grandi personaggi sono quasi sempre divisivi ed è inevitabile che lo sia una personalità come Silvio Berlusconi, scomparso ieri a 86 anni. Di lui è stato detto tutto e il contrario di tutto.
Da una parte i fan adoranti, che ne hanno ammirato il modello di self-made man all’italiana, dall’altra i detrattori, qualcuno di professione, tanto da costruirci una carriera sull’anti-berlusconismo. Difficile trovare posizioni intermedie, anche se in molti dei coccodrilli che hanno inondato i media italiani si coglie spesso lo sforzo di scindere la figura discussa del politico da quella dell’imprenditore rivoluzionario (nell’edilizia prima e nell’editoria poi) e del grande uomo di calcio (perché un Milan vincente come il suo probabilmente non tornerà più). Noi siamo solo una piccola testata dell’ecosistema della comunicazione e non è compito nostro, credo, giudicare l’uomo nella sua complessità.
Questa impellenza la lascio ai grandi quotidiani che in questi anni ne hanno seguito le “gesta” e a chi lo ha conosciuto di persona. Ma non posso esimermi dal ricordare il Berlusconi comunicatore. Forse uno dei più grandi comunicatori che il nostro Paese abbia mai avuto.
Da “L’Italia è il Paese che amo”, passando per il “Contratto con gli Italiani”, fino al Silvio “eterno ragazzo” su TikTok. L’uomo che amava definirsi una persona “con il sole in tasca” e che suggeriva alla sua potente macchina commerciale di avere questo suo stesso approccio. Un uomo che sembrava trovare inconcepibile l’idea di non piacere a qualcuno, tanto che molti dei suoi avversari politici gli riconoscevano comunque una personale simpatia umana, che poi è uno degli elementi che ha determinato il suo successo di imprenditore.
Una simpatia che va intesa come la capacità di percepire e condividere le emozioni di un altro individuo. Probabilmente è proprio questa qualità che gli ha consentito di diventare quel rivoluzionario che ha scompaginato il sistema mediatico italiano, creando un nuovo assetto che è durato sostanzialmente intatto fino all’esplosione del digitale e all’arrivo degli OTT che hanno aperto una nuova e sfidante era che sta obbligando gli editori a cercare nuove strade per competere a livello internazionale.
Non è un caso che le sue intuizioni fossero frutto di una profonda comprensione dei gusti e dei bisogni, a volte anche latenti, del pubblico, degli italiani. Gusti e bisogni che ha assecondato, più che guidato, talvolta con risultati discutibili, contribuendo forse a far perdere alla televisione il ruolo pedagogico che aveva avuto nei decenni precedenti, in nome del bene supremo dello share.
Però va detto che, immaginando la Tv commerciale, Berlusconi ha creato di fatto l’industria della comunicazione in Italia, per come la conosciamo oggi. E per chi fa pubblicità e ha un po’ di memoria, dovrebbe essere evidente che esiste un prima e un dopo Silvio.
In un mondo sostanzialmente fermo al Carosello, Berlusconi ha cambiato le regole del gioco trasformando la televisione in un veicolo di comunicazione in grado di influire sulle sorti dei brand e di conseguenza delle agenzie che per quelle marche lavoravano.
Non è un caso che i favolosi Anni ‘80 facciano scendere una lacrimuccia nostalgica ai pubblicitari che li hanno vissuti.
Eppure, mi viene da pensare che l’industria della comunicazione sia stata un po’ ingenerosa con Berlusconi, riconoscendo solo raramente e a denti stretti la portata innovativa della sua figura.