Il Ritorno del Pubblivoro – Esselunga: dal pomo della discordia alla pesca della riconciliazione
Lo spot di Esselunga della bambina e della pesca uscito recentemente ha mobilitato il popolo dei social e di conseguenza quello de media tradizionali diventando così rilevante da farmi uscire da quel bel letargo in cui ero piacevolmente caduto.
L’operazione è riuscita molto bene seguendo il principio della comunicazione, ottimamente illustrato già nell’800 da Oscar Wilde, “Non importa che se ne parli bene o male l’importante è che se ne parli”.
Ma al di là dei risultati, che sono sempre molto importanti, la comunicazione di Esselunga mi è piaciuta perché racconta bene lo spaccato di vita di una famiglia che vede i genitori separati e una figlia che li rivorrebbe insieme. La pesca comprata all’Esselunga prende un significato simbolico utile alla bambina per comunicare i propri sentimenti senza usare la parola. Una storia raccontata bene.
Comprendo la discussione che lo spot ha animato e il tema della rappresentatività o meno della realtà politicamente corretta, ma penso che le pubblicità non abbiano la finalità di rappresentare il mondo intero nella sua diversità. Hanno lo scopo di promuovere un brand, un valore attraverso lo strumento narrativo.
Lo scopo di una pubblicità è di essere ricordata e per essere ricordati bisogna comunicare in maniera diversa dagli altri e per comunicare in maniera diversa bisogna raccontare bene storie diverse dagli altri. E qui c’è il cortocircuito: se ci si ferma nel perimetro di dover raccontare con l’obbligo di rappresentare il mondo in maniera “politicamente corretta” tutto sarebbe uguale, omologato e poco creativo. Lo spot perderebbe il proprio senso e significato.
La creatività è rompere gli schemi e se lo schema è il politicamente corretto è giusto che la pubblicità vada oltre, sempre rispettando la sensibilità di tutti. Così come, almeno a me, sembra faccia lo spot di Esselunga. Non offende nessuno ma racconta il frammento di una storia particolare che non ha alcuna ambizione di diventare un esempio per nessuno.
Poi, pensandoci bene, se tutta la creatività fosse volta al politicamente corretto si andrebbe proprio verso un mondo della pubblicità omologato che paradossalmente finirebbe con il tutelare la diversity. Quindi potrei sostenere che politicamente corretto diventa politicamente scorretto.
Ma facendo così cadrei nel tranello di aggiungere sovrastrutture di pensiero ad un’impalcatura che non è fatta per sostenerle. Uno spot, di fatto, è solo uno spot.
Meglio mangiarci su una pesca, magari dell’Esselunga, e prendere le cose per quello che sono senza caricarle di un significato eccessivo.