“United for respect”: gli impegni della industry della comunicazione su inclusione e gender gap
Il tavolo interassociativo presentato a IF!
Uno sforzo collettivo che deve spingere ad un autentico cambio di mentalità. La industry della comunicazione serra le fila e si muove compatta per rispondere con il pensiero e soprattutto con le azioni a quello che è stato definito il Me Too della pubblicità. Sotto questo cappello ci sono le presunte molestie, abusi e comportamenti inappropriati in ambito lavorativo.
Un quadro che ha scosso il comparto in questi mesi. Problematiche che sono state recentemente riportate sotto i riflettori da un servizio del settimanale L’Espresso, a cui ha fatto seguito, nella giornata di giovedì 5 ottobre, una comunicazione, tramite un lancio d’agenzia, di M&C Saatchi Milano in relazione a quanto pubblicato dal magazine.
M&C Saatchi, in relazione all’articolo apparso su L’Espresso dal titolo “Sessismo, il lato oscuro dei creativi”, sottolinea «l’assoluta falsità delle gravissime affermazioni riferite nel pezzo e comunica di aver già dato incarico ai propri avvocati di querelare l’articolo e chiunque altro ne divulgherà il contenuto diffamatorio», come riportato da Adnkronos.
È comprensibile che il clima nel comparto non sia dei più sereni, per usare un eufemismo.
Con questo contorno, venerdì scorso, in occasione della prima delle due giornate live di IF!Festival della Creatività, si è tenuto l’incontro “United For Respect”, che ha visto la partecipazione di Stefania Siani, Presidente ADCI, Barbara Bontempi, Vicepresidente di IAB Italia, Laura Corbetta, Presidente di OBE, Davide Arduini, Presidente di UNA, Barbara Falcomer, Managing Director Valore D, e Filippo Muzi Falconi, Partner & CEO Methodos.
Il talk ha rappresentato un momento di riflessione critica per condividere la proposta di un percorso che renda, anche grazie a questo tavolo interassociativo, gli ambienti di lavoro rispettosi, inclusivi e capaci di valorizzare al meglio le diversità. Un percorso nel quale le associazioni hanno deciso di farsi affiancare da realtà riconosciute come Valore D e Methodos.
«Siamo qui a prenderci la responsabilità e a metterci la faccia», ha detto Laura Corbetta aprendo il dibattito. «Il nostro mondo sta esprimendo un’urgenza – ha continuato -. Siamo solidali con chi ha sofferto e vogliamo iniziare una conversazione che sappiamo sarà complicata e che vogliamo portare sul tema del gender gap. Le molestie sono la punta dell’iceberg di un sistema che presenta grandi squilibri. Dobbiamo avviare un percorso strutturato di evoluzione che possa portare effetti concreti e duraturi».
La prima azione portata avanti è stata quella di misurare l’inclusività nel comparto, attraverso un sondaggio che ha coinvolto 500 professionisti/e, così da poter valutare poi gli effetti del cambiamento da qui ai prossimi anni. Dalle risposte è emersa prima di tutto una discrepanza fra il livello di interesse al tema dell’inclusione e della parità di genere degli intervistati (8 su 10) e quanto si ritiene che il settore della comunicazione/pubblicità sia realmente inclusivo (5 su 10).
Il sondaggio mette in evidenza la preponderanza di management maschile nelle realtà lavorative degli intervistati. Ciò riflette, secondo quanto emerge, una bassa percezione del livello di diffusione del tema dell’inclusività e della parità di genere che può essere l’humus per comportamenti non idonei o addirittura tossici.
«Il problema è che non abbiamo sufficientemente mappato il talento femminile. Dobbiamo fare la guerra del talento. Il talento non ha genere. C’è un tema di bias culturali», ha commentato Stefania Siani.
Sul tema si registrano resistenze culturali e strutturali al cambiamento, oltre che una bassa sensibilità. Tra le resistenze che impediscono di affrontare il tema viene segnalata l’assenza di risorse (tempo e persone) per lavorare sul cambiamento. Altre resistenze mappate sono relative soprattutto a elementi culturali e alla conservazione dello status quo.
Barbara Bontempi ha messo in evidenza le difficoltà oggettive che deve affrontare una donna per arrivare in posizioni apicali rispetto a un uomo, in particolare facendo riferimento alle mansioni di accudimento in ambito familiare che pesano ancora in modo preponderante sulle donne. «C’è un tema culturale molto più ampio che va al di là della dimostrazione del talento – ha detto -. Viviamo una situazione ibrida. Abbiamo risposte diverse fra maschi e femmine. La formazione ha sicuramente un ruolo importante».
Il tavolo interassociativo è accolto positivamente dagli intervistati che si aspettano però anche un’assunzione di responsabilità individuale, autentica ed efficace nei risultati misurabili.
«Ci prendiamo la responsabilità – ha affermato Davide Arduini -. Ci prendiamo il grande impegno di sostenere il cambiamento culturale in atto. Come associazioni lo possiamo fare da “educatori”. Vogliamo promuovere una Carta della Comunicazione, consapevoli che è un piccolo passo, ma è l’inizio di un percorso». Un cammino in cui, come anticipato, le associazioni potranno contare sull’esperienza di partner come Valore D e Methodos.
«Il mondo della comunicazione non è più indietro o più avanti. Sul gender gap e l’inclusione è l’Italia a essere molto indietro», ha sottolineato Barbara Falcomer. «Il primo cambiamento culturale passa da una presa in carico del problema. Si parte dalla consapevolezza, si passa al desiderio di cambiare le cose, si impara come farlo e si agisce», ha detto in chiusura Filippo Muzi Falconi.