Più solida, profittevole e orientata all’innovazione: è l’industria della comunicazione nel post-Covid
Insieme al Vice Presidente di UNA, Andrea Cornelli, abbiamo analizzato le principali evidenze dello studio realizzato dall’associazione in collaborazione con l’Università di Pavia
La industry della comunicazione è uscita di slancio dalla parentesi del Covid. A confermarcelo è l’Osservatorio Aziende della Comunicazione, presentato ieri a Milano. Giunta alla sua seconda edizione, la ricerca, promossa da UNA – Aziende della Comunicazione Unite in collaborazione con l’Università di Pavia, si conferma un’importante opportunità per comprendere i perimetri, le variazioni, le tendenze e le prospettive che delineano il paesaggio mutevole del settore.
Fin dalla sua prima wave nel 2021, focalizzata sull’impatto del Covid sul settore, l’Osservatorio mira a fotografare il comparto della comunicazione e delle sue sotto-articolazioni, oltre a delineare modelli atti a esplorarne i possibili scenari evolutivi.
Come per la precedente, anche per questa seconda edizione sono stati stimati i pesi e gli andamenti del comparto della Comunicazione e di tutte le sue sotto articolazioni, attraverso la costruzione di un dataware house con una struttura di scraping, poi combinata con le informazioni provenienti dal database di Bureau Van Dyck. Un’impresa, questa, che non solo getta le basi per una comprensione approfondita del presente, ma che si prefigge di proiettare lo sguardo verso un futuro in continua evoluzione.
Di questo abbiamo parlato con Andrea Cornelli, Vice Presidente di UNA.
Quali sono i principali obiettivi di questa edizione 2023 dello studio?
La ricerca si propone di offrire una visione dettagliata e completa del panorama delle aziende della comunicazione, interpretando l’Osservatorio come uno strumento cruciale per la raccolta di dati quali-quantitativi che delineino l’intero settore. La nostra iniziativa mira a superare la limitazione delle “verticali” focalizzandosi su un campione di aziende particolarmente innovative. Con una periodicità biennale, l’obiettivo è stimare il peso del comparto, istituire modelli predittivi per gli scenari evolutivi e monitorare le tendenze post Covid.
Cosa ha rivelato questa seconda wave rispetto alla prima edizione focalizzata sui bilanci del 2020?
I risultati di questa seconda wave rivelano una significativa evoluzione nel panorama delle aziende della comunicazione. Riscontriamo una notevole diminuzione complessiva delle imprese sul mercato italiano, passate da oltre 10.500 nel 2020 a circa 9.750. Mancano all’appello circa 800 agenzie. Questa contrazione è concentrata soprattutto fra le microimprese. Nonostante la diminuzione in volume delle aziende, il comparto ha registrato un aumento del fatturato, raggiungendo un volume di affari di 22 miliardi di euro nel 2023 rispetto ai 16 miliardi del 2021. Si rileva un consolidamento a favore delle imprese di medie dimensioni.
Al tal proposito, come è strutturato il comparto della comunicazione e come si è evoluto nel periodo post-Covid?
Oltre il 47% delle aziende oggi sono microimprese con 3-5 collaboratori. Il 39% ha addirittura meno di tre collaboratori. Siamo di fronte a un mercato polverizzato. Tuttavia, le aziende con più di 50 dipendenti, pur rappresentando meno dell’1% del totale, generano il 60% del fatturato complessivo. Non è un caso che siano radicalmente aumentate le aziende che possiamo definire ibride. Ovvero quelle strutture che sono in grado di offrire un delta di proposta un po’ più ampio rispetto alle storiche verticali. Queste realtà sono passate da poco più di 2.500 a circa 3.000. È il segno che il mercato richiede una proposta di servizi più ampia e questo chiarisce la scomparsa di quelle imprese di comunicazione di piccole dimensioni che non sono in grado di rispondere a questo bisogno. Questa concentrazione verso aziende più strutturate evidenzia la necessità di sinergie e collaborazioni, anche attraverso piattaforme associative collaborative come UNA.
All’incremento dei fatturati si è accompagnato un aumento della profittabilità?
Le percentuali di profitto delle aziende del settore per fortuna sono molto cambiate. Nel 2020 avevamo rilevato una forbice di profittabilità media che, a seconda della verticale di appartenenza, oscillava fra il 4 e il 9%. Siamo passati a una forbice che va dal 10 al 18%. Questo non significa far spendere di più i clienti. Sono aumentati gli investimenti perché è aumentata l’offerta e soprattutto questa è più strutturata. Questo consente ai clienti che si rivolgono al mondo della comunicazione di investire meglio. Io personalmente trovo significativo che dopo un periodo cupo come quello pandemico, le aziende si siano rese conto di quanto strategico sia l’investimento in comunicazione e questo incremento del volume d’affari del comparto ne è la riprova. Quello della comunicazione è un comparto decisamente in salute.
L’Osservatorio prevede anche dei carotaggi sulle verticalità. Quest’anno è toccato al mondo delle Relazioni Pubbliche. Quali evidenze sono emerse?
Il futuro di questo Osservatorio prevede una rilevazione di comparto ogni due anni e negli anni dispari un carotaggio su alcune discipline specifiche. Quest’anno abbiamo unito le scadenze perché eravamo tutti desiderosi di misurare il dopo Covid. Sulle Relazioni Pubbliche i risultati si sono rivelati estremamente interessanti. Vale la pena rimarcare alcuni punti. In particolare, emerge una differenza significativa nella valorizzazione e nella consapevolezza del lavoro delle Relazioni Pubbliche fra le aziende più piccole e quelle più strutturate. Le prime sembrano metterle all’interno di un indefinito calderone della comunicazione, le seconde sanno alla perfezione cosa voglia dire rivolgersi a un’agenzia di RP. Dall’analisi emerge che le realtà più strutturate scelgono il loro partner di Relazioni Pubbliche soprattutto in funzione della reputazione che queste hanno saputo portare al mercato. È curioso il fatto che aziende che si occupano principalmente della reputazione dei propri clienti vengano giudicate dai propri clienti in funzione della propria reputazione. Questa è l’ennesima riprova che dal posizionamento reputazionale di un brand o di un’agenzia dipende il futuro stesso dell’azienda. È un punto importante su cui tutto il comparto della comunicazione si sta concentrando. Emerge, inoltre, anche la tendenza delle aziende a investire in maniera stabile sull’agenzia di Relazione Pubbliche. C’è una consapevolezza che gli investimenti in PR non sono mai spot, ma devono essere strutturati e durare nel tempo.
Nel settore delle RP ci sono dei punti di tensione verso i quali prestare particolare attenzione?
Si percepisce l’esigenza stringente di poter condividere col mercato delle metriche di misurazione del ritorno degli investimenti che siano validate scientificamente e condivise fra agenzie e clienti. Quella delle Relazioni Pubbliche è una disciplina misurabile, ma la metodologia di misurazione deve trovare una sorta di piattaforma comune su cui esprimersi. Un altro punto su cui focalizzare l’attenzione è sull’impatto dell’AI sul comparto. Chi non si avvicinerà a queste logiche è destinata a restare fuori dal mercato. Nella generazione dei contenuti strategici l’intelligenza artificiale non sostituirà mai l’intelligenza umana, ma è già un acceleratore formidabile per ottimizzare il lavoro di qualsiasi agenzia. Bisogna essere adeguatamente strutturati per investire in un ambito come questo, in continua evoluzione.
Quali sono i punti chiave legati al digitale e alla pubblicità digitale emersi dalla ricerca?
L’incremento della pervasività del digitale è una tendenza ormai consolidata. Registrano crescite del 30% i volumi dei ricavi e il numero delle agenzie che se ne occupano. In questo allargamento del delta di offerta il rafforzamento della componente specifica del digitale viene certificato dai numeri dell’Osservatorio. Una tendenza che evidenza per le aziende la necessità di poter offrire ai clienti competenze sempre più composite.
Quale lezione possiamo trarre da questa ricerca?
Emergono chiaramente quattro punti essenziali. Il primo, come ho accennato prima, è che il mondo della comunicazione professionale è in grande crescita. Ed è piacevole averne la conferma da una ricerca così ampia come quella di cui stiamo parlando. Il secondo punto è legato alla “biodiversità” nell’ecosistema della comunicazione. Questo ci deve spingere verso modelli di cooperazione virtuosa da sviluppare: i clienti ne hanno la necessità, ma anche le agenzie. È finita l’epoca dei battitori liberi. Il terzo punto fondamentale è connesso all’adozione delle nuove tecnologie legate all’intelligenza artificiale: non sono più rimandabili, sia per l’ottimizzazione dei processi interni alle agenzie sia in termini di competitività. Il quarto macro-punto è legato alla necessità di individuare ed evolvere metriche sempre più raffinate in grado di quantificare, ma soprattutto qualificare il valore della consulenza di comunicazione offerta al mercato.