Retail Media in Italia: tra promesse e insidie. L’analisi di Ciaodino

Marta de Cunto, Retail Media e Marketplace Director di Ciaodino, fa il punto sul settore dopo il workshop allo IAB di novembre

 

Retail media: tutti ne parlano.

La terza grande ondata dopo il search advertising e dopo il social advertising: un grande cambiamento per il digital, poiché permette a nuovi player di erogare pubblicità in una terra inesplorata.

All’estero la spesa per il Retail Media è ormai consolidata. Nel 2022, gli investimenti mondiali  sono stati circa 114,4 miliardi di dollari e si prevede di arrivare a oltre 176 miliardi entro il 2028. A farla da padrone è Amazon, che nel 2022 ha generato 37,7 miliardi di dollari di vendite pubblicitarie, ossia il 32% di tutte le revenues mondiali, comprensive dei colossi Alibaba e Taobao. Il peso di Amazon è più evidente se si guarda il solo mercato US, dove ha oltre il 75% di revenues, consolidate da oltre 4 anni.

Ma il Retail Media non è solo Amazon: esistono realtà in forte crescita. Ad esempio i retailer: Walmart  è partito con una marketshare degli investimenti pubblicitari del 3.5% nel 2019 e in 4 anni l’ha raddoppiato raggiungendo il 7%. C’è ancora spazio e chi investe riesce a crescere e guadagnare fette di mercato importanti.

Il tempo per raggiungere una soglia di rilevanza, rispetto alle altre ondate, si è più che dimezzato. Per raggiungere i 30bn $ la search, prima ondata, impiegò 14 anni, e il social, seconda ondata, 11 anni. Per il Retail Media sono bastati 4 anni. Una volta consolidato il fenomeno da parte del capofila (Amazon) si aprono scenari interessanti anche per gli altri attori, che hanno maggiore possibilità di crescita proprio in virtù dell’ accelerazione.

Questa crescita è dovuta al fatto che marketplace, e-retailer, pure player hanno ciò che gli ecommerce e gli advertiser cercano: gli utenti. I marketplace sono solo il 2% dei siti e-commerce, ma generano oltre il 50% delle vendite: gli utenti si concentrano lì. Secondo l’ultimo report sulla trasparenza di Amazon, gli utenti attivi superano i 38 milioni in Italia, ossia oltre il 70% degli utenti e-commerce. Zalando ne ha 17 milioni. Esserci e investire in pubblicità su questi canali media significa intercettare gli utenti.

A bloccare gli investimenti nel Retail media però ci sono degli aspetti che ancora sono nebulosi: la mancanza di sistemi di tracciamento affidabili e condivisi, la mancanza di piani strategici ed expertise e la governance di un’area che ancora ricade in una zona grigia.

In un settore nuovo come il retail media si accusa molto l’assenza di standard in quanto, a partire dai formati pubblicitari, non ci sono benchmark. L’assenza di standard diventa rilevante in fatto di tracciamento. IAB Europa e US stanno lavorando per settare degli standard. Inoltre, si ha un’enorme varietà nelle modalità di aggiornamento e condivisione dei dati: si passa da Amazon, i cui dati sono fruibili in piattaforma e vengono aggiornati ogni ora a sistemi che inviano un Excel con i dati su richiesta. Questo rende macchinoso il processo di reportistica e la visione d’insieme da parte degli advertiser che hanno la necessità di valutare le performance nell’insieme. La visione complessiva è difficile anche per un altro aspetto: i modelli di attribuzione differenti e non modificabili. Spesso all’interno della stessa piattaforma vengono applicati diversi modelli di attribuzione con diverse finestre e queste non sono né equiparabili né allineabili. L’attrito principale è infatti che tutti i retailer sono sistemi chiusi, dei walled garden, da cui è difficile uscire.

Un’altra minaccia per il retail media in Italia è la mancanza di percorsi ed expertise a 360 gradi. Sono pochi i retailer italiani che hanno sviluppato un’offerta strutturata e i brand che si sono mossi a per tempo e su più canali. Tutto è nuovo e non si trovano gli strumenti per pianificare un cambiamento che può essere radicale.

Per sfruttare al meglio la forza del retail media non basta destinare qualche euro dal budget marketing. Bisognerebbe cambiare struttura aziendale: il retail media non è una branca aggiuntiva rispetto a marketing, digital e trade, quanto più un substrato che deve essere condiviso tra tutti i settori appena citati. Ma deve avere una sua governance chiara e definita. Una ownership esclusiva, poiché richiede competenze specifiche. Non può restare quindi nel limbo in cui si trova ora, senza alcuna governance.

E allora perché investire in Retail media proprio ora? Mentre al di fuori del retail media, si teme di perdere controllo sui dati e sull’audience, i retailer, grazie alla  loro tecnologia interna e alla loro audience tracciata e conosciuta, danno agli advertiser la possibilità di raggiungere target specifici e qualificati, grazie ai,dati transazionali, di cui sono detentori. I dati Amazon, per dirne una, includono le abitudini reali di consumo e la capacità di spesa.

Si aprono scenari interessanti in cui si moltiplicano le possibilità di sottoporre un messaggio a pubblici specifici in diversi momenti e con sempre più varietà di creatività. Si pensi ad esempio alle possibilità di Connected TV su target Amazon buyers.

I risultati possono essere nettamente incrementali rispetto alle sole campagne d2c o rispetto a trattare i canali e-commerce come canali separati con budget separati.

Per chi decide di investire ora si prospetta un futuro di crescita. A fronte di spese basse si può aggirare il rischio di perdere il controllo sui costumer e sulla loro esperienza d’acquisto. Intercettarli in un posto in cui possono trovarsi in qualunque fase del funnel e in cui i dati sono proprietari e le abitudini tracciate, può essere una carta vincente.

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