Incubeta, il Digital Marketing nell’era del cookieless

È ormai un dato di fatto: il superamento definitivo dei cookie di terze parti è previsto per il 2024. Per le aziende che fino ad ora hanno puntato su questi strumenti nel loro digital marketing, è tempo di cambiare rotta verso i first-party data. Questo cambiamento apre la strada non solo a un targeting più efficace attraverso i canali digitali, ma è anche vitale per sfruttare le prossime innovazioni in AI e Machine Learning. Tuttavia, senza dati precisi e di alta qualità, sfruttare appieno questi strumenti futuri, in ambito AI, resta un traguardo lontano.

Si sa, nel digital marketing come nella vita, non si può correre senza prima saper camminare. Eppure, non tutte le organizzazioni sono in grado di sviluppare un’ampia raccolta di first-party data. Quali sono, allora, le soluzioni alternative per chi non ha accesso ai first-party data e non ha la possibilità di raccoglierli? Ne emergono due.

Raccogliere First-Party Data Non è Fattibile Per Tutte Le Organizzazioni

Per molte aziende, l’idea di sviluppare un’infrastruttura di first-party data che possa supportare integralmente le loro strategie di marketing digitale si rivela un obiettivo irraggiungibile. Pensiamo, ad esempio, a un’azienda alimentare che distribuisce i suoi prodotti esclusivamente tramite catene di supermercati, o a un brand di giocattoli che dipende completamente da rivenditori esterni. Questi player non hanno un contatto diretto con i consumatori e, quindi, non riescono a raccogliere dati per conto proprio. Il produttore di alimenti, per esempio, si ritrova a dipendere pesantemente dai supermercati per identificare con precisione e raggiungere le sue audience di riferimento.

Queste realtà, come molte altre nel mercato, si sono tradizionalmente appoggiate ai dati forniti da terzi. Anche se riescono a raccogliere alcuni first-party data attraverso campagne di fidelizzazione, reward programs o iniziative promozionali, questi input si rivelano spesso insufficienti per strategie di marketing durature e incisive. Ora, però, con l’inevitabile scomparsa dei cookie di terze parti, quali nuovi percorsi strategici possono adottare le aziende?

 

Ecco due strade praticabili da esplorare:

  • Data Clean Rooms
  • Google’s Privacy Sandbox

Data Clean Rooms

Le Data Clean Rooms consentono a due aziende che collaborano, ad esempio una catena di supermercati e un produttore alimentare, di confrontare e potenziare i propri first-party data senza doverli condividere direttamente. Il supermercato può così fornire al produttore alimentare informazioni più dettagliate sui consumatori dei suoi prodotti, mantenendo comunque la privacy dei dati. Questo metodo si allinea perfettamente con le leggi vigenti sulla privacy.

Le Data Clean Rooms sono particolarmente adatte per chi possiede una base di first-party data, ma necessita di informazioni aggiuntive per un targeting accurato. Attraverso l’arricchimento dei dati in una Data Clean Room, è possibile ottimizzare il raggiungimento del target audience e affinare strategie di prodotto e marketing.

Però, attenzione: le Data Clean Rooms non sono la bacchetta magica del digital marketing. Il loro utilizzo è efficace principalmente per arricchire i dati dei clienti che già conosci.  Se disponi solo di una parte del tuo target audience mappato con i first-party data, puoi arricchire solo quella sezione. Inoltre, la qualità del lavoro in una Data Clean Room è influenzata dalla qualità dei first-party data del tuo partner commerciale, che potrebbe essere un retailer o un publisher. Lavorare con le Data Clean Rooms apre nuove opportunità, ma non offre un controllo completo sul digital marketing e non è la soluzione ideale per le aziende con pochi o nessun first-party data.

Google e la sua Privacy Sandbox

Per le aziende che si trovano a corto di first-party data, Google ha introdotto una soluzione rivoluzionaria: la Privacy Sandbox. Questa piattaforma, lanciata dopo anni di sviluppo e presentata al pubblico lo scorso settembre, è stata ideata per offrire nuove opportunità di digital marketing. Con la Privacy Sandbox, le organizzazioni possono targettizzare la loro audience senza dipendere dai cookie di terze parti, focalizzandosi sugli utenti di Google Chrome che hanno effettuato l’accesso.

 

Per il retargeting senza l’uso di cookie e la conversion measurement, Google ha introdotto le API “Protected Audience” e “Attribution Reporting”. Queste API si basano sui Chrome signals, senza che il marketer possa riconoscere identificatori individuali.

Mentre il targeting basato sui dati di Google avviene tramite l’API “Topics” (precedentemente nota come FLoC). Questa API lavora con le cohorts — ovvero gruppi di utenti Chrome con caratteristiche simili, abbastanza piccoli da costituire un target di valore, ma sufficientemente grandi per garantire la privacy degli utenti individuali. Google promette risultati impressionanti: fino al 95% del ROI ottenuto con audience basate su first-party data o cookie. Tuttavia, il funzionamento interno dell’API “Topics” rimane un mistero.

Black Box

La Privacy Sandbox di Google rappresenta una sorta di “scatola nera” nel mondo del digital marketing: non è possibile verificare con certezza i risultati che fornisce. Prima, i marketer avevano l’opportunità di analizzare e verificare i dati direttamente. Ora, con l’introduzione della Privacy Sandbox, questa trasparenza diventa un lontano ricordo. La ragione di questo cambiamento è chiara: garantire la privacy degli utenti Chrome. Se fosse possibile controllare ogni dettaglio, la loro privacy non sarebbe più assicurata.

Se nel prossimo anno la Privacy Sandbox verrà estesa a tutti gli utenti Chrome, le aziende potranno continuare ad accedere al loro target audience in modo simile a oggi. Ciò che cambierà sarà la modalità di analisi: non sarà più possibile condurre analisi dettagliate sull’andamento delle singole campagne per ciascun cliente. Sarà Google a fornire un quadro generale dei risultati. Resta da vedere quali player del mercato decideranno di adottare questa nuova serie di strumenti.

 

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