I lavoratori italiani di oggi? Più anziani e più istruiti – i dati del Rapporto Istat in pillole 2024
Anziani, si spera ancora carini, e occupati. Secondo l'ultimo Rapporto annuale in pillole dell'Istat, presentato nei giorni scorsi, è cresciuta la quota di lavoratrici e lavoratori over 50, soprattutto nella fascia di popolazione più istruita. Al dato positivo per i senior, fa tuttavia da contraltare la diminuzione della quota di occupati più giovani e un generale aumento del lavoro part-time, spesso di tipo involontario.
Secondo il Rapporto Istat, il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni si è attestato nel 2023 al 61,5%, con un incremento di oltre 2 punti percentuali dal 2019 al 2023. La crescita è in linea con le maggiori economie europee, ma nettamente inferiore alla Germania, alla Francia e alla Spagna.
Guardando invece al tasso di disoccupazione, l’Italia presenta oltre l’1% in più rispetto alla media europea di persone senza impiego (7,7% contro il 6%).
Simile all’andamento Ue il valore degli occupati part-time, pari al 17,6% del totale (con differenze notevoli soprattutto con la Germania, dove i lavoratori part-time sono il 28,8% del totale). Di questi le donne impiegate a tempo parziale sono in numero quattro volte superiore rispetto agli uomini.
Spostando il focus su quanto i lavoratori part-time, senza distinzioni di genere, siano soddisfatti del proprio contratto, l’Istat rileva che oltre la metà del campione analizzato nel 2023 avrebbe voluto lavorare di più, soprattutto tra gli uomini e le persone residenti nel Mezzogiorno.
In altri termini, in Italia continua ad essere alta, secondo l’Istituto nazionale di ricerca, la percentuale di part-time involontario, pari nel 2022 al 57,9%, contro il 6,1% in Germania (ma i dati sono molto simili in Francia e Spagna).
I numeri mostrano poi una presenza ancora evidente di lavoratori vulnerabili, cioè con un potere di acquisto delle loro retribuzioni lorde diminuito negli ultimi dieci anni del 4,5%, contro la crescita registrata nelle maggiori economie europee (ad esempio, pari a +5,7% in Germania).
Tra i settori produttivi in cui si trova la quota più consistente di lavoratori dal basso reddito spicca l’agricoltura, con un’incidenza maggiore per i dipendenti con contratto a termine e part-time.
Le <<criticità retributive>>, considera ancora l’indagine Istat, riguardano in particolare <<giovani, donne e stranieri>>.
Più alta della media europea è poi in Italia anche la percentuale di persone a rischio di povertà, pari all’11,5% contro l’8,5 % dell’Ue.
Tuttavia, più si sale nel livello d’istruzione dei lavoratori e più diminuisce il divario con gli altri Paesi europei, anche se da noi è in crescita il fenomeno dei cosiddetti lavoratori “sovraistruiti”, ossia di persone laureate che vengono impiegate in profili di livello più basso rispetto al titolo di studio guadagnato.
Dal 2019 al 2023, la loro quota sarebbe cresciuta di oltre 1 punto percentuale, attestandosi nel 2023 al <<45,7 per cento tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche>>, si legge nel Rapporto Istat, e <<al 27,6 per cento tra i laureati nelle discipline STEM>>.
L’indagine mostra inoltre un legame stretto tra i mutamenti demografici intervenuti negli ultimi vent’anni (periodo 2004-2023) e la suddivisione per età anagrafica dei lavoratori.
Contro una diminuzione di oltre due milioni di occupati nella fascia 15-34 anni e di un milione di quella tra i 35 e i 49 anni, nel periodo indicato sono invece saliti a 4 milioni e mezzo gli occupati over 50.
Il saldo risultante è di conseguenza quindi positivo, pari al 5,7% di lavoratori in più rispetto al 2004.
Risulta però altrettanto evidente che gli italiani al lavoro sono invecchiati, addirittura più di quanto non stia succedendo alla popolazione complessiva.
Oltretutto, proprio la quota di lavoratori più anziani sta beneficiando anche dei contratti di lavoro più stabili. Negli ultimi due decenni è infatti cresciuto il tempo indeterminato di quasi 10 punti percentuali per gli over 50.
Tre milioni erano invece nel 2023 gli occupati a tempo determinato nella fascia d’età 15-34 anni, pari a circa un milione in più rispetto al 2004.
Meno difformità anagrafiche si trovano tra i lavoratori autonomi, diminuiti in modo strutturale rispetto al 2004, con un’incidenza sull’occupazione complessiva passata dal 27,8 al 21,4%.
I cambiamenti nell’importanza di alcuni comparti (servizi su tutti) rispetto ad altri (l’industria ha perso circa 500 mila nel periodo analizzato) non hanno inciso sul numero totale di addetti nelle imprese, aumentati di poco più di 800 mila unità, mentre è rimasto <<pressoché invariato il personale delle amministrazioni pubbliche rilevato nel Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato>>, si legge ancora nel Rapporto.
Il saldo positivo di occupati ha riguardato, come già si accennava, soprattutto <<le persone con istruzione di livello universitario>>. Al contrario, per le persone di istruzione di livello inferiore si è registrato un calo di circa <<330 mila unità >>.
Dove si investe di più in risorse umane qualificate, insomma, si cerca sempre nuovo personale.
Il Rapporto si sofferma proprio sulla centralità dell’investimento in capitale umano: <<Esistono forti complementarietà in termini di investimenti in risorse umane, strategie, capacità innovativa, tecnologie>>, scrive l’Istat, che aggiunge: <<Là dove ci sono maggiori i livelli di complessità maggiore è la domanda di lavoro, in particolare per personale con istruzione più elevata>>.
La concreta possibilità di trovare un buon impiego per i giovani con istruzione universitaria si scontra però, come si diceva prima, con i dati sulla soddisfazione delle persone già occupate.
Quasi il 60% del campione analizzato si è infatti dichiarato contento della stabilità del proprio contratto di lavoro, ma molto meno per il trattamento economico e per le opportunità di carriera.
Quest’ultimo aspetto delude soprattutto le donne, mentre, in generale, il grado di soddisfazione aumenta da Sud a Nord della Penisola, con differenze minime tra dipendenti e autonomi.
I più insoddisfatti di tutti sono infine i collaboratori, un dato che, unito a quelli citati anche nel capitolo successivo del Rapporto Istat dedicato agli stili di vita degli italiani, lascia trasparire il legame piuttosto stretto tra precarietà del lavoro e crescita del numero di persone in condizioni di povertà.