Sì alla flessibilità, no all’eccesso di controllo: l’opinione dei lavoratori nella ricerca “People at work 2024” di Adp

L'orario flessibile conta di più del luogo in cui si lavora, anche per gli italiani. Lo dice l'ultimo report pubblicato dall'Adp Research Institute, leader nel settore della ricerca analitica sulle tendenze nel mercato del lavoro, che privilegia il punto di vista dei dipendenti in merito a ciò che si aspettano e sperano di ottenere in futuro dal proprio datore di lavoro.

Chiamata “People at Work 2024: A Global Workforce View”, la survey ha coinvolto oltre 34.000 lavoratori in 18 Paesi, di cui circa 2.000 in Italia.

Nel complesso, i dati relativi ai nostri connazionali non si discostano dalle tendenze osservate un po’ ovunque, che indicano una maggiore attenzione alla possibilità di avere un orario flessibile di lavoro piuttosto che luoghi di lavoro alternativi alla sede aziendale.

Secondo la survey dell’Adp Institute, la media dei lavoratori italiani che danno più importanza alla flessibilità di orario si attesta al 29% del campione, pari a 1 lavoratore su 3 in tutte le fasce d’età.

Sopra la media del campione italiano si collocano i lavoratori tra i 45 e i 54 anni, che preferiscono la flessibilità nell’orario nel 31% dei casi. Al contrario, i più giovani e i più vecchi privilegiano l’orario flessibile nel 26% dei casi.

La flessibilità del luogo in cui si lavora è al contrario importante per l’11% del campione italiano, in tutte le fasce d’età, mentre si attenuano le differenze generazionali se si analizzano le risposte relative al salario (importante per il 52,7% del campione), alla sicurezza del lavoro (che ottiene il 34%), alla gratificazione lavorativa (40%) e all’avanzamento di carriera (21%).

A una prima occhiata, i dati sopra riportati sembrerebbero segnalare una attenuazione nel desiderio di modalità di lavoro più flessibili, aumentati in maniera significativa durante la pandemia.

Smentisce tale impressione Nela Richardson, capo economista di Adp, con queste parole: <<Il desiderio di modalità di lavoro flessibili non sta scomparendo, sta semplicemente cambiando priorità insieme ad altri attributi lavorativi che i lavoratori apprezzano, come l’avanzamento di carriera e il piacere nello svolgere il proprio lavoro>>.

L’economista invita quindi le aziende a tenere conto della richiesta dei propri dipendenti di <<stabilire standard chiari per il lavoro fuori sede e comunicarli chiaramente per alimentare la fiducia reciproca>>.

L’esigenza sottolineata dalla survey di Adp emergerebbe in particolare dall’analisi di come la vedono i lavoratori con figli: in media il 26% di quelli che li hanno ancora nella fase bebè apprezza il fatto che il proprio datore di lavoro sia diventato più flessibile, ma il 10% dei lavoratori a distanza, con neonati e bambini molto piccoli, afferma di non sentirsi sicuro del proprio lavoro.

L’insicurezza dei neogenitori è condivisa anche dagli altri lavoratori ibridi: la survey parla di un 56% di loro che ritiene di essere controllato dal proprio datore di lavoro quanto a orario e presenze.

La stessa opinione è condivisa dai manager, in particolare dai dirigenti, che si sentono controllati dai loro capi per il 67% del totale, ben più di quanto non accada ai singoli collaboratori, sui quali la percezione di essere sotto l’occhio vigile datoriale scende al 50%.

Man mano che sale l’età del campione, cambiano anche le esigenze rispetto alle questioni più centrali per chi lavora: per la fascia dei 18-24 enni conta di più avanzare nella carriera, al punto che solo 1 su 5 di loro dà importanza al fatto di svolgere un lavoro che piace davvero.

In maniera analoga, i più giovani sono meno interessati allo stipendio (35%) di quanto non lo siano i lavoratori tra i 35 e i 44 anni (57%), simili in questo ai loro colleghi più vecchi.

In prospettiva, conclude insomma la survey, mentre i lavoratori più anziani vanno in pensione e una nuova generazione entra in azienda, le società dovranno affrontare le diverse priorità di una forza lavoro con età molto diverse, ma sempre più attente alla qualità “olistica” delle proprie giornate. Mentre si lavora e quando non lo si fa.

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