Digital Audio Unlocked – Il Potere dell’Audio: la Rinascita del Podcast e le Opportunità per i Brand – Seconda parte

Torna la rubrica dedicata al digital audio nata dalla collaborazione fra Audion e Touchpoint. Oggi la seconda parte della puntata uscita lo scorso 16 di ottobre

​​Cos’è un branded podcast? Il Podcast Committee dell’Osservatorio del Branded Entertainment, nel suo White Paper dedicato appunto al Branded Podcast dà la seguente definizione: “Contenuto editoriale originale in audio, fruibile on demand, ideato, realizzato e finanziato da un brand. È distribuito sulle properties digitali del committente e/o sulle piattaforme specifiche di podcasting, ed è finalizzato a intrattenere l’audience in modo coerente con i valori e gli obiettivi del brand”.

A differenza della pubblicità tradizionale, il branded podcast fornisce contenuti di valore agli ascoltatori sia attraverso lo storytelling che attraverso interviste, confronti con esperti, oppure con vere e proprie fiction (i famosi audiodrammi di una volta, anche se non per forza devono essere drammi!) dove l’obiettivo è quello di intrattenere l’audience, puntando sull’experience che il mezzo e le storie stesse offrono, associando il contenuto al brand che lo produce (un esempio che a me è piaciuto molto e che consiglio vivamente è il branded podcast dell’Istituto Sant’Agostino, “Via Morando 9”). I branded podcast possono essere utilizzati per formare e informare, oltre che intrattenere, e l’integrazione del brand nel contenuto varia a seconda che si parli, in generale, del business del brand di riferimento, oppure dei suoi valori o ancora di temi inerenti a quel mercato specifico in cui opera il brand. Anche gli spin off, ovvero puntate o miniserie che derivano da un podcast originale pre-esistente, fanno parte della categoria dei branded podcast.

Uno dei vantaggi degli spinoff è quello di avere accesso diretto alla community del podcast e ai follower dello speaker senza doverla costruire ex novo: ovviamente non tutti i podcast consentono questo tipo di integrazione e non sempre è la scelta migliore. 

Come costruire il contenuto, con chi, dove distribuirlo sono scelte che dipendono dagli obiettivi del brand e dalla strategia di medio/lungo periodo che si vuole perseguire. Il branded podcast è, infatti, uno strumento di medio/lungo periodo, non tattico, che se ben utilizzato all’interno della strategia di comunicazione consente di avere un accesso diretto e non intermediato alla propria audience, e consente di creare una community e valore nel tempo.

Anna Vitiello

«Come abbiamo già sottolineato per sfruttare appieno le potenzialità del podcast occorre abbandonare l’approccio tattico e seguirne l’evoluzione. Alcuni segnali cominciano a intravedersi: sono i trend che abbiamo visto già da tempo nel mondo del be e che iniziano a caratterizzare anche la strategia di costruzione dei podcast. Collab & coopetition: soggetti diversi  – brand, associazioni, enti  – che collaborano per amplificare la voce. Questo è un trend che vediamo da qualche anno in altre forme di branded entertainment, che speriamo cresca ancora di più, soprattutto quando le tematiche affrontate sono trasversali e rilevanti. Perché attivano senza alcun dubbio un win-win game. Serialità: un concetto al quale siamo sempre più abituati, che genera affezione, coinvolgimento e trust, oltre a diminuire i costi di attivazione. Integration: perché come è già successo nel be televisivo o nel mondo dei video in generale, può diventare una strada fondamentale per crescere in rilevanza. A patto che  – come per gli altri strumenti  – si riesca a garantire coerenza e a integrare in modo efficace due linee narrative in modo armonico ed equilibrato e per ultimo, transmedialità. Quanto più il podcast è integrato in una strategia di contenuto transmediale, quanto più rappresenta la tessera di un mosaico con un ruolo specifico, tanto più riesce a svolgere la sua funzione e ad agire su una narrazione di brand riempiendo quei famosi spazi in modo rilevante», chiarisce Anna Vitiello, Direttrice Scientifica di OBE.

L’obiettivo del branded podcast è creare un’associazione positiva con il brand senza vendere apertamente un prodotto o un servizio, andare a lavorare sulla parte alta del funnel di comunicazione: sull’awareness, sulla familiarity e favorability oltre che sulla fiducia. 

È Importante, come come ancora ci dice la ricerca OBE,  non sottovalutare la narrazione e la costruzione perché il 43 % degli ascoltatori trova i branded podcast troppo commerciali e il 52 % poco interessanti. I primi minuti devono essere in grado di catturare l’attenzione e l’elemento che guida la scelta resta il contenuto, nonostante cresca l’attenzione per la voce narrante.

La scrittura, l’utilizzo della musica e dei suoni, la voce dello speaker sono tutti fattori caratterizzanti di un podcast e di un branded podcast che ne attestano poi il successo. Anche le semplici interviste hanno bisogno di autori (come le trasmissioni radiofoniche) perchè nell’audio è fondamentale tenere il ritmo e l’attenzione, altrimenti si rischia di fare la fine di Clubhouse.

Anche il miglior podcast del mondo ha bisogno di essere distribuito e amplificato, per avere successo. Ma di questo parleremo nel prossimo articolo. 

I branded podcast, quindi, sono un mezzo efficace e lo sono perchè:

• creano Engagement e Fedeltà: sono un mezzo di contenuto long-form, spesso della durata di 20-60 minuti per episodio e ciò consente ai brand di coinvolgere gli ascoltatori per lunghi periodi, favorendo un senso di lealtà e fiducia.

• è un Marketing Mirato: si rivolgono a segmenti di pubblico di nicchia con interessi specifici. Ciò rende più facile per i brand parlare al target desiderato.

• si basa su uno Storytelling: i brand possono utilizzare questo formato per condividere la loro storia, i loro valori e le storie di successo dei clienti in modo coinvolgente e pertinente. Questo approccio narrativo aiuta a umanizzare il brand e costruire una connessione emotiva con il pubblico.

Per concludere, un ultimo inciso sul tema caldo del momento: i video podcast. Partendo dal presupposto che, come si diceva prima, Audio is on when screens are off, l’utilità di creare un podcast con il video risiede probabilmente nel fatto che, producendo un video, si può usare anche solo l’audio e quindi si può intercettare il target anche quando non può “vedere”? 

Oppure, semplicemente, è una mera questione di opportunità, ovvero la possibilità da parte dei produttori di sfruttare quel contenuto anche per la monetizzazione video, e quindi su diverse piattaforme, e per le piattaforme la possibilità di accedere a un inventory – quella video- che prima non avevano?

Prima dell’avvento dei podcast, la fruizione di un’intervista su YouTube poteva essere sia audiovisiva che solo audio: il contenuto funzionava lo stesso, semplicemente si ascoltava senza guardare. A livello produttivo e di scrittura, una video intervista può diventare una audio-intervista facilmente. Anche un programma con intervistatori e ospiti (es. Muschio selvaggio, One More Time…) e una telecamera che li riprende può essere una video intervista su Youtube e un’audio-intervista su You Tube Music e, oggi, anche un video-podcast intervista su Spotify (che ha aperto da qualche mese, appunto, ai video). 

Può però essere solo ascoltata su Apple Podcast o Spotify, per esempio, se non posso guardare il video.

Ma se invece di una intervista parliamo di uno storytelling o di una fiction, la scrittura per il video e quella per l’audio cambia? E i costi? Cioè, un video podcast di storytelling o fiction è, di fatto, una serie Netflix/Amazon Prime/Disney+,..?

In breve, mentre le interviste video possono essere facilmente adattate in formati audio, la produzione di contenuti fiction o di storytelling per entrambi i media richiede approcci diversi oltre che costi diversi. 

Probabilmente, ma solo il tempo ce lo dirà, la commistione tra due mondi audio/video è più dovuta a interessi economici e quindi efficienza nella  monetizzazione del contenuto che altro: i video offrono maggiori opportunità di distribuzione e quindi di monetizzazione. 

I podcast, lo diciamo dall’inizio di questa rubrica, forniscono un’esperienza di ascolto più intima e focalizzata, maggior attenzione. 

L’audio offre un’esperienza diversa da quella del video, e ha caratteristiche non sovrapponibili ma complementari.

E il video podcast, per noi puristi, non è altro che un video con l’audio on.

Al mese prossimo!


Georgia Giannattasio

Laureata in Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano, ha iniziato la sua carriera nel media offline presso Initiative Media. Successivamente, ha fondato e sviluppato Havas Digital (Media Contacts, ndr), avviando la sua carriera nel digitale. Ha fondato una società di consulenza e aperto le sedi locali di Eyewonder e Goviral, entrambe acquisite da grandi aziende (Sizmek e AOL rispettivamente). Nel 2014, Georgia si è trasferita a Londra per gestire il gruppo Sales dell’Headquarter di AOL e il team sales APAC, mantenendo anche il ruolo di MD in Italia e Spagna. Tornata in Italia, ha lanciato Maker Studios, successivamente acquisita da The Walt Disney Company, dove ha gestito la parte digitale commerciale di Disney Italia. Nel 2020, ha co-fondato Mentre – Reliving Stories, una società di produzione di podcast, successivamente acquisita da Audion. Attualmente è l’Amministratore Delegato di Audion Italy e membro del CDA.

Segui la diretta di: