Genenta, la tecnologia a servizio della vita

Nel 2014 The Economist l’aveva definita “una fiction scientifica che sta diventando un fatto”. Con questo biglietto da visita, Genenta, società biotecnologica italiana specializzata in terapie geniche per la cura dei tumori, ha vinto lo StartupItalia Open Summit 2019. Il co-Fondatore Pierluigi Paracchi, Presidente e Amministratore Delegato, ha messo a disposizione la sua formazione economico-finanziaria a servizio della ricerca scientifica.

Quando è nata la start up e come? 

A cavallo tra il 2013 e il 2014 io mi occupavo di venture capital, curavo investimenti di imprese innovative e nel mio percorso sono capitato all’Ospedale San Raffaele, dove ho avuto l’occasione di conoscere lo scienziato Luigi Naldini, Direttore di SR-TIGET, San Raffaele Telethon Institute for Gene Therapy, che aveva ottenuto risultati straordinari su alcune malattie genetiche rare, tanto che bambini da tutto il mondo affetti da queste patologie a volte mortali venivano, e continuano a farlo, a curarsi al San Raffaele. Naldini stava allargando la sua attività di ricerca sui tumori, usando la stessa tecnologia di base che aveva applicato per le malattie genetiche rare. Mi fece leggere un paper scientifico che stava per essere pubblicato su Science Translational Medicine e da lì è nata l’idea di mettere insieme da un lato le mie competenze imprenditoriali e finanziarie che avevano avuto un certo successo – perché ero stato investitore di EOS (Ethical Oncology Science) che era stata acquistata da una società quotata al Nasdaq per 470 milioni di dollari – e la scienza che il professore stava sviluppando con il suo team. Nel luglio 2014 è nata Genenta, uno spin-off del San Raffaele, con il terzo socio Bernhard Gentner, ematologo e scienziato presso SR-TIGET.

 

Qual è il modello di business?

Sviluppiamo una terapia genica basata sull’ingegnerizzazione delle cellule staminali del sangue per il trattamento dei tumori e coperta da brevetti, quindi “originale”: significa che la sperimentazione può essere fatta ovunque su brevetto nostro. Il San Raffaele detiene la proprietà intellettuale della terapia sviluppata da Genenta. Siamo partiti dalla fase sperimentale preclinica e dopo una serie di round di investimento in 5 anni per un totale di 32,1 milioni di euro, a luglio 2019 siamo arrivati a sperimentare la terapia su pazienti affetti da due tumori, uno del cervello e uno del sangue: il glioblastoma e il mieloma multiplo. A oggi stiamo trattando pazienti a Milano al San Raffaele e all’Istituto Besta: andremo a sperimentare la sicurezza e l’efficacia della nostra terapia e, se avremo dei risultati confortanti, la svilupperemo in collaborazione con qualche società farmaceutica fino a farne un prodotto.

Pierluigi Paracchi

Che tipo di struttura è?

Fisicamente lavoriamo all’interno del dipartimento Biotecnologie del San Raffaele. Lo staff è composto da 5 dipendenti più i 2 fondatori. Sfruttando il concetto di spin-off, con la fase preclinica viene sviluppata a Segrate e la fase clinica nei due ospedali, complessivamente muoviamo tra tecnici di laboratorio, ricercatori e medici una ventina di persone.

 

Quali sono gli sviluppi previsti per il 2020?

Abbiamo iniziato da due tumori molto aggressivi, però la fase sperimentale preclinica ha dimostrato che la terapia è in grado di funzionare e di portare beneficio su vari tumori, dal cancro al seno alle metastasi al colon retto: quindi l’obiettivo è di poter aumentare le indicazioni terapeutiche della nostra piattaforma. Nel 2020 l’obiettivo sarà quello di trattare il più alto numero possibile di pazienti per avere quindi una base statistica che ci permetta di sancire che la terapia è sicura e ha una sua efficacia. Stiamo trattando e continueremo a trattare circa un paziente al mese fino al terzo trimestre 2020 per poi allargare il numero di pazienti. Grazie ai round precedenti, possiamo lavorare tranquillamente per cercare di collezionare risultati importanti. Allargheremo il numero di ospedali su cui faremo la sperimentazione con selezioni, già avviate, in Italia e in Europa, ma non escludiamo di guardare anche agli Stati Uniti.

 

Quello che fate ha un’importanza fondamentale per il futuro, ma allo stesso tempo non è facile da comunicare: come vi fate conoscere? 

La nostra attività non è un btc, perché non vendiamo un prodotto al consumatore, ma un btb, cioè sviluppiamo quello che una società farmaceutica potrà trasformare in un prodotto. Genenta ha avuto, e ha, un grande riscontro di immagine pubblica, negli anni è cresciuta in credibilità: ha vinto premi importanti e ha raccolto in Italia una significativa quantità di denaro. Ma il nostro scopo non è divulgare: gli articoli dei principali quotidiani nazionali che parlano di noi riassumono in 5 righe la tecnologia, ma anche quello aiuta a comunicare il messaggio. L’ultimo round di investimento, nel settembre dello scorso anno, ha ottenuto una copertura mediatica straordinaria perché, al di là di Italia ed Europa, ne hanno dato notizia, anche le migliori testate negli Stati Uniti, e grazie a un investitore cinese anche in Cina e in Corea del Sud. Possiamo contare su tanti soci investitori e anche su tantissimi supporter. Con tutto il rispetto per chi fa innovazione digitale, le ricadute di quello che facciamo noi vanno oltre alla consegna di scarpe o frutta a domicilio: capire la nostra tecnologia di primo impatto non è semplice, però sul nostro sito in home page c’è un video cartoon in 3D che semplifica quello che facciamo. Parte del nostro lavoro è fare anche un po’ di “cultura generale”. La comunità dei pazienti è composta anche dalle persone che sono vicine a loro e che sono molto attive su internet perché vanno a ricercare quali siano le migliori cure nel mondo: tendono a essere mediamente preparati e vanno in profondità nelle loro ricerche, quindi anche la terapia genica, nonostante il suo grado di complessità, viene compresa.

 

Che cosa significa quindi la vittoria a SIOP?

Essere stati eletti la start up dell’anno in un’arena digitale come quella di StartupItalia Open Summit, dove i settori rappresentati sono molteplici, è un segnale forte che rompe dei tabù. La visibilità ci aiuta a ridurre il gap culturale perché erroneamente in Italia si pensa che l’innovazione sia legata al mondo digitale. Ovviamente lo è, ma nel nostro Paese c’è tanta innovazione di rottura, di tecnologia profonda legata alle scienze della vita. Questo ultimo riconoscimento ci comunica che è molto importante sviluppare una nuova terapia o un nuovo farmaco. Un altro grosso vantaggio è che questo riconoscimento potrebbe portare più medici ad avvicinarsi a quello che facciamo.

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