Conic e Hokuto, per l’adv il semaforo è verde
De Martini: «Nelle aziende è in corso il design thinking dell’offerta. La lezione da imparare è quella di accrescere le dinamiche di ascolto». De Battisti: «Un test di resilienza per ripartire»
È un sorriso che non offende quello che la pubblicità, sebbene in un’infausta contingenza, suscita in chi la guarda. Lo scorso 2 aprile l’agenzia Conic ha diffuso tramite un webinar i dati della ricerca “La pubblicità vista dalla quarantena” che è stata sviluppata insieme alla società di ricerche di mercato e data science Hokuto. L’indagine è stata effettuata dal 23 al 25 marzo scorsi su un campione di 800 maggiorenni relativamente alla fruizione televisiva. Tre i cluster che sono usciti: pragmatici (41%), entusiasti (29%) e infastiditi (30%) ma solo il 15% considera l’adv on air totalmente inopportuna visto il periodo difficile che stiamo vivendo.
Secondo Alberto De Martini, CEO e socio fondatore di Conic «le persone non stanno chiedendo alla pubblicità di cambiare pelle ma di allargarla un po’ all’interno della missione di un’azienda o di un brand, che è quella di avere cura dei propri clienti. Le persone si aspettano che le aziende si muovano nel loro business caratteristico ma desiderano maggiore profondità: la cura verso il consumatore deve diventare qualcosa che, in funzione del periodo, vada oltre il fare prodotti buoni o servizi efficienti. Chiedono, quindi, alla pubblicità di continuare a essere un momento di evasione e di conforto, ma esserlo oggi non è più soltanto intrattenere e distrarre bensì cercare di interpretare gli insight del momento per dare risposte».
«In queste settimane c’è stata una trasformazione delle necessità e dei ruoli: nelle aziende si sono posti tante domande su cosa ci fosse da fare. La ricerca ci rivela che il ruolo dell’azienda non è quello di risolvere problemi, ma di dare una mano, aggiungere qualcosa in più rispetto a una situazione abituale: il punto centrale è quello di migliorarsi, adattando loro prodotti e servizi alle esigenze», spiega il Fondatore di Hokuto Simone De Battisti.
Piacciono le pubblicità simpatiche e divertenti al 57%, quelle che danno informazioni sui prodotti al 50%, quelle che raccontano una storia come dei piccoli film al 38%, quelle che stupiscono senza effetti speciali al 26%, quelle che “contengono” con un messaggio coerente la situazione al 25%. E continuano a piacere i contesti tradizionali con narrazioni che mostrano scene di vita all’ara aperta (29%), bambini che giocano (25%), scene di famiglie a casa (22%), convivialità tra persone (20%). Riguardo all’impatto sulle marche che hanno deciso di comunicare, la ricerca ci dice che guardano al domani (23%), sanno adattarsi alla situazione (22%), possono offrire qualcosa di utile (18%), sono forti (5%), risolvono i problemi (5%): solo l’11% pensa che continuando a fare adv non stiano capendo la situazione. «La pubblicità vive in una specie di bolla dai contenuti che la ospitano – prosegue De Martini -. Le persone garantiscono alla pubblicità una sorta di zona franca, una dimensione parallela nella quale è consentito avere un linguaggio proprio, a prescindere da ciò che succede. Parrebbe che l’adv possa resistere anche a questa situazione di emergenza, quasi come un balsamo che funziona. Alcuni clienti stanno approfittando della contingenza per fare una riflessione sul reset della propria proposizione di valore come brand e come range di prodotti per farsi trovare pronti nel momento in cui indicatori di vario tipo, tra cui quelli che noi stiamo osservando, consiglieranno di farlo».
La buona notizia è che non si è creata una distonia tra consumatori, marche e bisogni, ma questo momento di quarantena che cosa comporta concretamente per il lavoro di aziende e pubblicitari? «Le aziende in questo momento ci stanno domandando prevalentemente tre cose – risponde De Martini -. La prima come poter migliorare e affilare la comunicazione in funzione del momento. La seconda riguarda una maggiore conoscenza del sentiment dei fruitori dell’adv e questa ricerca è un contributo per aiutarli a capire meglio cosa passa nella testa e nel cuore delle persone. Infine, proprio perché questa ricerca ci dice che la gente non si aspetta che le aziende cambino il tono della comunicazione, ma il profilo della loro offerta, come possono fare a migliorare nell’emergenza. E allora non è solo un lavoro da fare sui messaggi pubblicitari ma sul design thinking, quindi ci chiedono di aiutarli a rimodulare prodotti, servizi, modalità di offerta in modo da incontrare meglio le attese delle persone a casa, affinché questa nuova offerta possa poi essere comunicata nel modo tradizionale classico tra il sogno e il gioco».
Come cambiano gli investimenti
Le fasce critiche sono quelle che per via delle restrizioni si trovano nell’impossibilità di vendere i loro prodotti. «Con la chiusura dei negozi o con la mobilità ridotta per molti non ha senso investire, se non per campagne di brand equity per un ritorno a medio-lungo termine, però le campagne cosiddette tattiche sono ferme. L’affissione è un mezzo che adesso è inutile e gli investimenti destinati all’OOH dirottano sul digital, perché le persone restano incollate allo smartphone, e sulla televisione: entrambi i mezzi ne traggono vantaggio», prosegue De Martini. «La pubblicità televisiva sta aiutando le persone a scegliere i prodotti online e anche in questo caso ci sono dei settori che sono più fermi rispetto a player del retail che fanno consegne a domicilio. Da sottolineare che i piccoli negozi, che non vanno in tv, si sono attrezzati con volantinaggi o modalità social per provare a non perdere contatto con la clientela», è convinto De Battisti.
La tendenza in atto è stata e i nuovi scenari della crisi sono stati affrontati anche da Luca Macrì, Communication Strategist di Wavemaker, agenzia media di GroupM.
«Rileviamo che tanti settori hanno deciso drasticamente di stoppare gli investimenti in adv. L’automotive in alcuni casi ha reagito cambiando il tono della comunicazione, mentre altri player hanno deciso di fermarsi un paio di mesi in attesa di capire ciò che succederà. Tra i settori che sono stati molto impattati ci sono anche turismo e viaggi, lusso e abbigliamento. Accanto a questi c’è però un mondo fatto da retailer, largo consumo, prodotti food e non food, che ha in alcuni casi anticipato le campagne pianificate, soprattutto chi è riuscito ad adeguare il proprio messaggio in corsa: riscontriamo flessibilità in certe aziende che hanno modificato il loro racconto. La tv è uno dei mezzi che beneficia della situazione congiunturale ma anche il web, dove è anche più facile aggiustare il tiro e modificare il contenuto del messaggio: su questo ambito abbiamo rilevato anche maggiori agilità e fermento da parte dei comunicatori. Non sarà un anno facile, il mercato perderà investimenti però si apriranno opportunità per diversi player e settori, soprattutto ripensando quelli che possono essere i touchpoint che già ci stanno aiutando adesso e che ci aiuteranno in futuro quando torneremo alle nostre vite e alla nostra socialità. La tv è tornata ad ascolti di 10 anni fa: rispetto allo stesso periodo del 2019 sono cresciuti del 40 o 50%. Il fenomeno che avevamo già rilevato negli ultimi anni di una polarizzazione degli investimenti sui mezzi tv e web continuerà e sarà accentuato, perché il web non è soltanto un punto di contatto ma è diventato uno strumento di vita, che facilita le nostre esistenze e vedrà un’esplosione nel nostro Paese. Una stessa valutazione va fatta per l’e-commerce, canale in cui l’Italia era ancora abbastanza arretrata rispetto ad altri Paesi europei: questa crisi poterà a corredo una crescita di tutti quegli strumenti che per una serie di ragione erano frenati. Questa sarà un’ulteriore opportunità per chi fa comunicazione di entrare in territori nuovi per essere efficaci non solo nel brand building ma anche nella costruzione di occasioni di informazione e di scelta di acquisto per le persone».
Una lezione dall’emergenza
A questo punto, esiste una “lezione” che le aziende e il mondo dell’adv stanno imparando in quarantena? «Durante le varie crisi che si sono succedute si è sentito dire spesso che nulla sarà mai più come prima – spiega De Martini -. Poi le cose tendono a ripristinarsi e a riassumere la forma che avevano precedentemente. Ma se c’è una lezione importante che sta uscendo da questo momento è quella di ascoltare le persone, osservare e capire ancora più di prima la dimensione dell’ascolto, del resto il marketing è proprio questo: partire da ciò che le persone hanno bisogno e in questo periodo c’è una straordinaria attenzione a questo. Mi auguro che ci sia un salto di qualità rendendo sempre più vero l’orientamento al consumatore implementando la dimensione dell’ascolto, missione che è sempre molto dichiarata ma che a volte fa fatica a essere reale».
La ricerca di Conic e Hokuto sarà riproposta tra circa un mese. «In questa fase di “laboratorio sociale” che nessun pianificatore o ricerca statistica avrebbe potuto simulare, le aziende hanno imparato molto sulla propria organizzazione e sulla loro capacità di adattare la loro forza lavoro e le loro catene produttive: forse hanno fatto un test di resilienza che sarà utile per riprogettare processi e organizzazioni. Mi aspetto nella prossima rilevazione un innalzamento di questo valore da parte dei fruitori di pubblicità, in seguito a un maggiore apprezzamento di quelle aziende che sono riuscite a rimodulare i propri messaggi in funzione di un nuovi insight che la situazione ha sviluppato», conclude De Battisti.